Il Capodanno è stato tutto suo. Su qualunque canale di sport ti sintonizzassi - anche fuori d'Italia, in Argentina fino al trionfo mediatico - due lampi gialli, due gol, e dietro quei gol bellissimi lui e i suoi occhi: Paulo Dybala. Guardatelo, Paulo, mentre sta per togliersi la maschera - quel colletto bianco che arriva a coprirgli il naso, come fosse un bandito mascherato - ed è pronto a entrare in campo, silente e furioso, dopo l'esilio in panchina; guardate quegli occhi fiammeggianti diventati ormai simbolo di un vittorioso castigamatti, come la maschera di Don Diego de la Vega, Zorro, che proprio con il mutar di sguardo annunciava al nemico l'affondo decisivo e il colpo di grazia. Ne ho conosciuti tanti, di Zorro, da Douglas Fairbanks a Antonio Banderas, Paulo si colloca - per il sorriso che s'apre lentamente e infine esplode, per lo sguardo gelido che s'addolcisce nella gioia del gol - fra Tyrone Power e Alain Delon. Non ho bevuto, m'intendo di calciatori, anche di uomini, e di attori: e sono disposto a giocarmi un panettone - mai la reputazione - sul suo futuro: diventerà il più grande argentino dopo Maradona e Messi, ça va sans dir il migliore italiano, non solo perché anche nostrano di passaporto ma anche perché ha subìto le lezioni (e le botte) di Gattuso, quand'era al Palermo, e i sospetti di Allegri che, forse per l'appartenenza a un antico clan pistoiese, finto anarchico come Renzaccio Ulivieri, gli ha insegnato la “sofferenza del Dieci”. Appena tornato in squadra (mai dire titolare) a Verona, ha finto disinteresse, sembrava voler uscire per accentuare la sfida con Allegri che in realtà era pronto a sostituirlo con Chissachì, ma ha ben calcolato i tempi e al gol beffardo di Caceres ha indossato i panni di Zorro, vecchia volpe, e ha colpito come lui solo sa fare, anche superando tre avversari prima di colpire, in un torneo che piange l'assenza di duellanti uomo contro uomo, come usava nel tempo che fu, ricordando Maradona e Roby Baggio, le loro ferite, i loro trionfi. I commenti del giorno dopo confermano la sua grandezza: chi lo dice vincitore del confronto con il tecnico pungente, chi ne ascrive il successo alla dura lezione di Allegri. Quante Juventus conosciamo? Due di sicuro, con e senza Dybala; aspetto la terza, quella di Champions: dalla quale dipenderà il destino di entrambi, il Maestro e la Joya. Mourinho, Guardiola, Zidane e gli sceicchi aspettano fiduciosi. Forse anche Agnelli.