Domeniche. «Due ore per lasciare casa». E se fossimo profughi?
«Avete due ore per lasciare la vostra casa. Prendete solo l’essenziale». Un sms, otto parole sul cellulare. Due ore? E i figli, e i nipoti, all’asilo? Concitato cercare tutti, non trovare nessuno sulle linee sovraccariche. Ma occorre pensare in fretta, essere lucida. Cosa è essenziale? Le medicine, per i malati cronici. Dei contanti, perché non è detto che le carte funzionino. Il bancomat sotto casa però è già preso d’assalto. Prendere i gioielli, magari? In guerra un anello può valere un passaggio in auto, può salvarti la vita. E i passaporti, i documenti. E qualcosa da mangiare, ma che non pesi troppo, che stia in due borse. E coperte: la notte fa freddo ormai. E il latte in polvere per il più piccolo? Dove si troverà del latte in polvere, dei pannolini, in autostrada? Ma anche, ti batti una mano sulla fronte, il caricatore del cellulare, caspita, il caricatore. E dunque affannata – le due ore stanno scadendo – correre all’auto, stipare a forza il bagagliaio. E l’acqua? Mio Dio, dell’acqua ti sei dimenticata, bisognerà comprarla.
Il supermercato, però, ha già abbassato le serrande. I figli intanto sono arrivati, con i bambini. Il piccolo stringe attonito il suo peluche. Siete in otto, come stare in otto su un’auto? Si sta: dietro in cinque, i bambini in braccio, che ora piangono. Dalla porta di casa ti fissa il tuo vecchio cane. «Solo l’essenziale», diceva il messaggio. Ma tu scendi, e spingi il cane in auto. Il nipote di quattro anni lo abbraccia, e si calma. Accendi il motore, l’ago del carburante è vicino alla riserva. Un sussulto al cuore, ma parti comunque. I figli, dietro, continuano a chiamare gli amici, cercano di andare sul web e capire cosa accade. Ma il web non va, e anche i cellulari fra poco finiranno la carica. Nella bolgia di sfollati in fuga si perde qualche anziano, lo vedi smarrito sul ciglio della strada, ad aspettare. Ripasseranno, i suoi? O lo hanno lasciato indietro?
Il benzinaio è in stato di assedio. Si urla per la precedenza alla pompa, e per uscire poi dal groviglio di auto. Non puoi che metterti in coda. Infine, è il tramonto, entri in autostrada, verso nord. Come è stato ordinato.Ma l’autostrada è una colonna di veicoli fermi. Scende la notte. I fari spenti per non consumare le batterie, e anche per sperare d’essere invisibili, dal cielo. I bambini piangono, hanno fame. Tutti siete stanchi morti. La mamma coccola il più piccolo: «Dobbiamo stare vicini, abbracciati, è un nuovo gioco». Stretti nell’abitacolo addormentarsi infine, scaldandosi l’un l’altro. Solo chi è al volante resta sveglio, avanzando di cento metri ogni tanto, a singhiozzo. Non vede bene, ha dimenticato gli occhiali da miope – un guaio. Nell’assoluto smarrimento, nel buio, molti nella colonna pregano in silenzio dimenticate preghiere. Lo squillo di un telefono, la voce di un fratello: è al sicuro, a ottanta chilometri da lì. Con la famiglia si sono rifugiati in una scuola, dormono per terra, in centinaia.
Ma almeno hanno un tetto. «Il papà – aggiunge però – respira male». Già: cardiopatico, asmatico, 80 anni, portato via in un’ora dalla casa in cui è nato. Gli occorre subito un medico, pensi, e la disperazione ti riprende. Da Sud, ora, fanno tremare il suolo le esplosioni delle bombe. La tua casa, l’orto, la vigna: già macerie? Non puoi saperlo, laggiù non è rimasto nessuno. Ma, ora, non conta. Conta soltanto trovare un tetto, e da mangiare. Poche sono in fondo, ti accorgi, delle tante nostre cose, le essenziali. Stanno pigiate in un’auto. E già sei grato del respiro dei bambini, nel buio della notte di guerra, regolare.
(Un esercizio di immedesimazione. Essere con gli sfollati in Libano, e di ogni altra guerra).