Centinaia di tonnellate di droghe di ogni genere, in testa hashish e cocaina, che sfuggono ad ogni controllo e vengono diffuse in mille maniere nei 27 Paesi dell’Unione. La gran parte di questa gigantesca marea di sostanze micidiali invade oggi l’Europa attraverso tre aree portuali principali: Rotterdam (Olanda), Anversa (Belgio) e Amburgo-Bremerhaven (Germania), dove ogni anno vengono movimentati decine di milioni di container. Di questi ultimi si riesce ad ispezionare solo una frazione, tra il 2 e il 10 per cento. Il tutto, a fronte di una crescente capacità di penetrazione delle organizzazioni criminali, sempre più abili, oltre che nel corrompere e trovare complicità interne, nel falsificare o clonare codici indentificativi delle merci in entrata, rendendo più difficile intercettare quelle illegali.
Il quadro appena riassunto emerge da un denso rapporto elaborato da Europol, in collaborazione con le tre autorità portuali interessate e diffuso alcuni giorni fa. A quanto pare senza destare grandi reazioni nell’opinione pubblica, visto che non risultano commenti di politici o addetti ai lavori. Un indizio di assuefazione, o forse di rassegnazione, davanti a un fenomeno che si ritiene impossibile da fronteggiare? Certo è che l’Europa dello “stato di diritto”, delle regole inderogabili in campi magari più opinabili (vedi le etichette degli alimenti o la definizione di “famiglia”), non dimostra altrettanta attenzione e voglia di reagire sul terreno delle tossicodipendenze.
Intendiamoci, non è che manchino uffici e strutture capaci di produrre documenti, analisi, piani di azione, sempre redatti su carta con dovizia di particolari. Da ultimo, il 28 marzo scorso, ossia appena una settimana prima che uscisse il dossier Europol sul “fronte dei porti” nordici, la presidenza del Consiglio europeo a guida svedese e il Parlamento di Strasburgo hanno sottoscritto un accordo “provvisorio”, per trasformare l’Osservatorio sulle droghe di Lisbona in una vera e propria Agenzia dell’Unione, dotata quindi di uno “status” superiore e, in teoria, più in grado di incidere. In teoria, appunto, perché intanto il regolamento vincolante per dare vita al nuovo organismo è ancora tutto da definire. Inoltre, la sua capacità di aggredire nei fatti la minaccia criminale è tutta da dimostrare.
È vero che le risposte sul terreno, a cominciare, nel caso citato dei porti, dalle banchine e dai moli degli approdi, spettano principalmente alle singole autorità statali, con un ruolo sovranazionale dell’Unione che può essere solo di coordinamento e di intelligence. Ma l’opera di stimolo e di informazione da parte delle istituzioni di Bruxelles è altrettanto cruciale. Il “report Europol” sollecita non a caso “un approccio comune a livello europeo, che presti attenzione agli aspetti regionali per affrontare questa minaccia, poiché le reti criminali cercano continuamente scappatoie nella sicurezza”. In altre parole, si investano più risorse e lo si faccia insieme, là dove l’emergenza si rivela più minacciosa. Tanto più che le mafie e i trafficanti internazionali sono ben collegati fra loro e sempre pronti a spostare uomini e mezzi in altri siti. Ora poi, entro il 2030, la Ue punta a collegare tutti i 328 porti dell’Unione, principali e secondari, alla nuova Rete di trasporti trans-europea (il progetto TEN-T), agevolando i movimenti di merci e prodotti, compresi evidentemente quelli illegali come le droghe. Ci si saprà attrezzare per tempo davanti alle nuove sfide?
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