Dove nasce l'ispirazione per il poeta? A proposito di un libro che non ho scritto
Si presupponeva che il produttore di poesie potesse non essere mai ispirato e che quindi doveva considerarsi sempre ispirato. Anche in campo poetico la civiltà occidentale del Novecento procedeva all'eliminazione metodica del rischio. In questo caso il rischio era l'afasia, la vuotaggine, il non avere niente da scrivere. Più che un libro sull'ispirazione, il mio poteva essere perciò un pamphlet contro le avanguardie.
Ora Alberto Casadei ha raccolto seriamente, senza saperlo, quell'invito di Brioschi: il risultato è Poesia e ispirazione (Sossella editore, pp. 89, euro 10), in cui si parte da Platone e si arriva a opere letterarie che «tendono sempre più a diventare (") parte del circuito informativo mass-mediatico». Se l'esito finale fosse questo «alla poesia come ispirazione e come forma di conoscenza sembrerebbe restare ben poco spazio».
Ma Casadei indica strade diverse e comincia citando il saggio teorico di un poeta di oggi, Giorgio Manacorda, che già nel titolo dichiara la sua tesi: La poesia è la forma della mente (2002).
Più e prima che essere uno specifico uso del linguaggio (secondo l'idea di Jakobson) la poesia nasce come omologia mimetica del reale funzionamento dei nostri cervelli e ne riproduce la complessità. Credo che sia vero.