Caro Avvenire, le elezioni francesi hanno avuto un pregio, aver dimostrato quanto il sistema elettorale a doppio turno con ballottaggio sia un imbroglio, una truffa basata sui patti leonini che vengono messi in atto dopo il primo turno. Personalmente, ho passione politica da 55 anni, e da 50 sono fermamente convinto di questo. Basti pensare che il Rassemblement national ha preso il 33% al primo turno, salendo poi al 37% al secondo turno nel quale tutti gli altri partiti francesi hanno invece perso punti percentuali, ma si dice, e di fatto è vero, che chi ha vinto ha perso e chi ha perso ha vinto. Questo sistema andrebbe abolito anche nelle elezioni amministrative italiane. Viva il sistema inglese.
Pasquale Graziano
La Spezia
caro Graziano, solo i sistemi elettorali puramente proporzionali traducono in maniera esatta i voti in seggi. Ma, spesso, il problema è proprio questo. Si tratta del motivo per cui tanti Paesi hanno cercato di disegnare meccanismi che portino a maggioranze coese e stabili, capaci di decidere con efficacia e rapidità. Ciò può avere un prezzo in termini di rappresentatività dei governi. Non è d’altra parte il progetto di premierato del centrodestra italiano?
Non parlerei dunque di imbroglio nel caso francese. La Quinta Repubblica è semipresidenziale e orientata a fare emergere un blocco in Parlamento che sostenga le politiche del presidente in carica. L’esito di domenica scorsa è certamente inedito ed è frutto di quella che ho chiamato in un commento a caldo la “logica dei due terzi”. Il 66% dei francesi non vuole l’arrivo al potere della destra post-fascista del Rassemblement national e per questo i cittadini ai seggi sono stati disposti, nel gioco delle desistenze, a votare alternativamente un candidato di sinistra o centrista anche se erano di orientamento opposto.
Certo, senza doppio turno non si sarebbe potuto fare. Tuttavia, l’opportunità è aperta a tutti, i lepenisti sono per ora fermi nel loro terzo di consensi e non possono andare oltre. Hanno però il record di deputati e potranno fare sentire la loro voce in una legislatura che si annuncia complicatissima e faticosa.
Diverso mi pare il discorso sul secondo turno nelle amministrative italiane. Come ha ben spiegato su queste colonne quel fine analista che è Stefano De Martis, nei Comuni sopra 15mila abitanti non c’è un doppio turno strutturale, ma una nuova chiamata alle urne, se nessun candidato raggiunge la maggioranza assoluta, affinché il vincitore risulti più rappresentativo della base elettorale. Il successo che più frequentemente arride al centrosinistra non dipende dalle procedure, ma dal fatto che le grandi città hanno una composizione sociale più vicina a quello schieramento.
Detto questo, ogni insieme di regole è sempre perfettibile. Nel nostro Paese abbiamo preso questa constatazione fin troppo sul serio, e infatti per Camera e Senato abbiamo cambiato sistema a raffica. Si pensi alla serie recente di diverse leggi elettorali non a caso ribattezzate in modo poco lusinghiero Mattarellum, Porcellum, Italicum e Rosatellum.
L’importante sarebbe trovare una rotta condivisa in modo che con il tempo l’architettura istituzionale complessiva trovi equilibrio ed efficienza nel rispetto delle minoranze secondo i principi liberal-democratici, ricordati anche di recente dal presidente Sergio Mattarella.
Oggi siamo al paradosso di una Francia che, per trovare una via d’uscita alla impasse che si è creata, non guarda all’inesportabile sistema britannico (il Reform UK di Farage, terzo partito col 14% dei voti, ha preso 5 seggi su 650), bensì al nostro modello parlamentarista. Da non crederci!
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