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Dopo il vino, serve un piano nazionale per rilanciare l'olio "made in Italy"

Paolo Massobrio mercoledì 22 febbraio 2017
Abbiamo 550 cultivar di olivo. E come per il gioco dell'oca, torniamo sempre al via, nel senso che non si viene mai a capo di una strategia in campo oleicolo. A inizio settimana sono voluto andare a Verona, all'Evoo Day, una due giorni di seminari sullo stato dell'arte dell'olio. FieraVerona, che organizza da anni Sol&Agrifood dentro "Vinitaly", ha scelto di scindere il momento fieristico da quello della formazione. Lo fa col vino, memore che l'inizio di "Vinitaly" furono le Giornate del Vino, lo fa ora con l'olio. Ed è stata una sorpresa trovare oltre 100 produttori, paganti, felici di prendere atto delle potenzialità che ha l'olio extravergine di oliva in Italia. Maurizio Pescari, uno dei comunicatori dell'olio più attenti, era fra gli entusiasti: «Nei momenti di crisi si torna a parlare di terra, di identità, di distinzione». Ma c'è un problema: la ricerca universitaria in agricoltura come fa a diventare conoscenza per i frantoiani? Eh sì, perché se l'iniziativa di una fiera è suonata come una salutare novità, vien da chiedersi dove sia stata fino ad oggi l'iniziativa ministeriale. Qualcosa non ha funzionato nella cinghia di trasmissione, se ancora oggi si vive la produzione olivicola come qualcosa che si tramanda sul sentito dire. E la ricerca? In Italia l'olio di alta qualità, chiamiamolo così, rappresenta appena il 3% e di questo il 2,7% è Dop. Se paragoniamo il settore dell'olio con quello del vino, lo iato è ampio. E con 550 cultivar, di cui ognuna con caratteristiche proprie dal punto di vista organolettico e anche salutistico, siamo riusciti a partorire una "nicchia". È stato interessante sentire parlare del valore dell'acido oleico, dell'ossidazione lipidica e di parametri messi in etichetta che risultano di difficile traduzione. Avete mai sentito parlare delle cere? Come si fa a mettere una parola del genere, senza spiegarla? Il professor Servetti a un certo punto ha detto: «È drammatico pensare che spendiamo milioni di euro in studi, ma poi non sappiamo trasferirli ai consumatori con un linguaggio appropriato». Parole come stress ossidativo ematico riferito ai benefici dei polifenoli, è un claim burocratese, mentre una qualsiasi industria avrebbe scritto che l'olio combatte il colesterolo cattivo. E siamo sicuri che l'olio scadente debba essere usato per cucinare? Qui a Verona s'è scoperto il contrario. Ma s'è scoperto anche il paradosso per cui, a fronte di una maggior richiesta di olio di oliva, noi siamo il Paese che ne produce meno. E la concorrenza degli oli di semi si fa sentire. Detto questo, gli atti di questo seminario dovrebbero essere studiati: dai membri delle commissioni agricoltura di Camera e Senato, dai funzionari del ministero, da qualcuno che possa decidere che è arrivato il momento di mettere in atto una strategia.