Miliardi, tanti, e immagine, tantissima. Il sistema della produzione agroalimentare certificata Dop e Igp continua a raccogliere consensi e successi. Questione di qualità naturalmente, oltre che di grande maestria promozionale. Fatto sta che, anche in periodi d'incertezza come questo, l'economia delle denominazioni di origine (quella che ormai viene chiamata #DopEconomy), ha raggiunto un valore alla produzione pari a 16,9 miliardi di euro in crescita del 4,2% rispetto allo scorso anno e pari al 19% di tutto il valore dell'agroalimentare nazionale. Grandi numeri che, tuttavia, devono essere ben analizzati come ha fatto il Rapporto 2020 di Ismea-Qualivita dedicato al comparto e che spiega subito come occorra distinguere tra i 7,7 miliardi di euro del mondo della produzione agroalimentare e i 9,2 dei vini. Necessario, poi, distinguere tra i contributi di alcuni grandi nomi del sistema agroalimentare e la miriade di medio-piccole denominazioni che sgomitano per avere un posto in prima fila ma che fanno quello che possono. Così come, è necessario sapere che la ricchezza prodotta dalle Dop e dalle Igp tocca solo alcune delle regioni italiane e prima di tutto quelle del Nord Italia con Veneto, Emilia-Romagna, Lombardia e Piemonte che concentrano il 65% del valore produttivo delle filiere a Indicazione Geografica.
In ogni caso, vale soprattutto il valore “di traino” che i prodotti blasonati ottengono in favore di tutto l'agroalimentare nazionale. Condizione che si verifica sia in Italia che, soprattutto per certi prodotti, all'estero con le esportazioni che, fa sempre notare il Rapporto, sono cresciute del 5,1% fino alla bella cifra di 9,5 miliardi di euro. E vale anche il ruolo di “spina dorsale” per alcuni territori che questi prodotti hanno, come ha detto la ministra Teresa Bellanova che ha sottolineato anche la loro capacità di funzionare da “volano di crescita e di manutenzione della qualità territoriale integrata, capace anche di influire in modo sostanziale sulle scelte di sviluppo cui sono chiamate le comunità di riferimento”.
Tutto bene, dunque, a parte la necessità di estendere i successi anche alle denominazioni di origine minori, e, magari, di non pretendere e concedere a tutto e a tutti i costi il sigillo Dop oppure Igp. Senza dimenticare che, accanto al gran mondo delle denominazioni, esistono quella produzione agricola e quella trasformazione agroalimentare che devono essere vanto di tutto il Paese.