Donne del Nordest sull'orlo di una crisi di nervi
Sono nove storie residuate dagli incontri di un gruppo di scrittori che avevano scelto il nome di Realvisceralisti (c'erano, oltre a Bugaro e Franzoso, anche Mauro Covacich, Tiziano Scarpa, Gian Mario Villalta e altri) che si riunivano ogni lunedì sera per discutere il progetto I nuovi sentimenti, sfociato nell'antologia pubblicata con quel nome da Marsilio nel 2006.
Nel nuovo libro viene ripreso uno dei racconti della precedente antologia, Vanishing74, il più riuscito letterariamente, che riguarda un'anoressica perfettina e saccente nella vita reale, ma che si sfoga distruttivamente in un Blog che si illude di mantenere segreto.
Anche le altre storie sono tremende e lacerate, eppure, anticipando le conclusioni, hanno una profonda moralità perché segnalano, per antifrasi, un incoercibile desiderio di normalità, di correttezza, di bontà.
Che altro vuole, infatti, la Sara N. del primo spaventoso racconto, massacrata dal compagno che l'ha perfino costretta ad abortire, se non ricominciare una vita pulita, in cui ci sia posto anche per la maternità?
Giovanna M. ha conosciuto troppi uomini, soffre di attacchi di panico e trova la serenità nel contemplare i bimbi che dormono nella casa-famiglia in cui lavora come psicologa. Alessia F. ha tentato anche di dare un figlio a un amico gay, e dopo altre esperienze, si acquieta come «moglie a domicilio» di Andrea, medico che ha scelto di fare il coltivatore diretto, con il quale periodicamente si trova per il piacere di preparare la cena all'uomo che torna stanco dal lavoro, di stare insieme sul divano a chiacchierare, senza ossessione del sesso.
E Caterina L., traumatizzata per il rapimento del fratello minore, che altro fa se non recuperare il senso della paternità vanamente cercata in troppe avventure? E Michela non trova la stabilità proprio accudendo Luca, paraplegico dopo un incidente? E il grido di Chiara, dal parapendio imparato da Edo per il quale ha lasciato marito e due figli, è un grido di liberazione o di orrore? E Antonella? E Nina?
Sono tutte donne tra i venti e i trent'anni che hanno raccontato le loro storie agli autori, i quali però le hanno letterariamente reinventate, con straordinaria efficacia narrativa. Sono, per così dire, modelli negativi, vite sbagliate in cui la sessualità è vissuta istintivamente, cioè animalescamente: manca il controllo della ragione, manca la progettualità di un amore che nella famiglia ha il suo sbocco naturale e la sua esaltazione. Ed è proprio l'assenza di tale sbocco a causare le frustrazioni, i dolori, l'instabilità di quelle ragazze, che gli autori non sovraccaricano certamente di pretese di rappresentatività sociologica, ma che pure sono emblematiche di una società che ha smarrito l'orizzonte di senso. Ecco perché il libro, che non contiene concessioni descrittive, è importante oltre che ben scritto: perché fa vedere, dal rovescio, che la felicità non può essere raggiunta al di fuori della moralità e, facendo noi un passo in più, che non può darsi moralità senza un fondamento trascendente. Solo una corretta antropologia consente una vita autenticamente umana. Il grande assente dalla vita di queste ragazze del Nordest è appunto Dio, e l'uomo (compresa la donna) non può accontentarsi di qualcosa di meno di Dio. E dovrebbe essere ormai chiaro che, al punto in cui siamo, la vera trasgressione è la castità.