Don Roberto Sardelli, confratello d’Italia. Nasce a Pontecorvo il 30 gennaio 1935, e lì muore il 18 febbraio 2019. Prete, maestro, intellettuale, comunque dalla parte degli ultimi, i poveri, gli abbandonati, e tra questi – tra i primi – anche dei malati di Aids. Famiglia di medio-alta borghesia terriera, educazione esigente e severa già con attenzione ai poveri. Cresce in quel clima, entra in Seminario e nel 1960 è prete, a Roma. In precedenza ha conosciuto in Francia l’esperienza dei preti operai. Appena prete è viceparroco a San Policarpo, ai confini di terreni abbandonati ove poveri e immigrati hanno le loro baracche. Lui nel 1968 decide di andare a vivere con loro e – pensando anche a Don Milani, da lui incontrato a Barbiana – mette su la “Scuola 725”: le baracche erano già 724. Ne scrive al sindaco di Roma: «Il luogo dove viviamo è l’inferno, l’acqua nessuno può averla in casa. La luce illumina solo una piccola parte delle baracche: umidità e freddo d’inverno, caldo soffocante l’estate… I pozzi neri a pochi metri dalle nostre cosiddette abitazioni e ogni genere di immondizie viene rovesciato vicino alle baracche, ove quest’anno sono morti 2 bambini per broncopolmonite». Eppure proprio lì sulla testa di tutti scorreva abbondante l’acqua che sarebbe arrivata a Roma, ma «durante una nottata in cui un grande temporale che sembrava sollevare nel cielo le baracche come la Santa Casa di Loreto, un fulmine fu tanto forte da far tremare tutto il Borghetto, provocando una lesione lassù in alto sul tetto della baracca di Antonia». E tutti si arrangiarono a lungo con quel “rubinetto”. Ma spesso i medici rifiutavano di andare a trovare gli ammalati, tra fango e sporcizia… E i ragazzi? A scuola pubblica, ove contava solo svolgere il programma, e per il resto a ciascuno il suo destino, bocciatura o classe differenziale. Di qui don Roberto e la sua “Scuola 725”: non più gli alunni destinati alla scuola, ma 1a scuola a loro. Dopo l’acqua la luce, dopo la luce il gas: le battaglie con le lungaggini burocratiche. Lui è lì in mezzo: servo di tutti con le sue asprezze e le sue scontrosità anche negli ambienti diocesani, troppo spesso incompreso e rimproverato. Memorabile un incontro del clero in cui qualcuno protestò contro di lui, improvvisato “maestro” e contro “preti operai, addirittura anche “fabbri”» Arrivò secca la replica che ricordò come Gesù si dice “maestro”, ed è detto “filius fabri, et ipse faber”(Mt. 13,55)! Torniamo alla scuola: i ragazzi curavano la pulizia e il piccolo giardino. All’inizio niente luce, contava quella del sole: fine d’estate fino alle 20, e d’inverno alle 16. Ogni giorno un giornale in classe, e il Vietnam, la Cina, il Nordest brasiliano, la lezione di Gandhi, la musica e il cinema: tutti attorno a un tavolo, poi un ciclostilato quindicinale. Potenti del tempo irritati e quasi totale del mondo ecclesiastico. La risposta, nel libro “Non tacere”, raddoppia la durezza della lettera al sindaco: con l’interesse della Rai, e di maestri della sociologia come Franco Ferrarotti… Arriva la risposta del potere: nel 1973 tutte le baracche sono sgomberate con la forza e lui comincia a scrivere – libri lucidissimi – e anche sui giornali. Dopo il Convegno sui mali di Roma partecipa agli incontri che cercano di andare “Oltre il Convegno”, proponendo rinnovamento e originalità oltre ogni “sacramentalizzazione di massa”: scandalo e rimproveri evidenti, che approfittano anche della stanchezza di Paolo VI. C’è altro? Sì e tanto, con originalità oltre i drammi: di qui lo studio del Flamenco come danza espressione dei profughi “Rom”, poi la cura dei malati di Aids, e tante altre cose con evidente presa sul serio da parte di giornali e organizzazioni laiche anche nel mondo del cinema. Passarono gli anni: nel 2007 il sindaco di Roma, allora Walter Veltroni, accolse in Campidoglio lui e il suo gruppo “Non tacere”, ma la lezione di don Roberto, sia civile e laica, sia cristiana ed ecclesiale era stata, e forse ancora è troppo dura per ottenere un consenso generalizzato: non se ne fece niente. Qui con un sorriso finale: Alberto Fraja (Osservatore Romano 8/1/2022, p.7) presenta il libro “La storia di Cinecittà – Don Bosco”, ove si parla anche di lui, ma con questo titolo: “Tra gli ‘Studios’ e gli esclusi di don Sardella”! (sic!) Da conservare in scatola? Sempre un po’ scomodo. Oggi, e anche qui memoria grata di tanti.
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