Don Miraldi prete che si è donato agli ultimi
Nato nel 1930 a Roma, ricco di famiglia, poi con la vita ha scelto la povertà e i poveri senza mai impancarsi a salvatore e benefattore. Studia medicina, poi decide che sarà prete, e viceparroco a Roma per vari anni, prima a San Clemente e poi soprattutto alla Natività di via Gallia.
Sempre essenziale, si dona fino ad essere letteralmente «mangiato» dagli altri. Capace come pochi di analisi acuta anche d'avanguardia della società e della Chiesa, trascurava ogni tattica per guardare in grande al futuro della Chiesa e, senza pretese, persino del mondo.
Dopo lunghi anni di ministero in parrocchia rifiuta incarichi prestigiosi, tra cui anche cattedre universitarie. Lavora soprattutto con i giovani. Tutti lo chiamavano «il prete». Il suo metodo? Faceva lavorare i suoi “ragazzi”, già all'inizio degli anni '60, anche sui testi teologici di Karl Rahner e Charles Journet, Henri de Lubac e Marie-Dominique Chenu, e talora su quelli sociologici e d'avanguardia del poi notissimo Ivan Illich, del quale era stato compagno di Seminario.
Il Concilio doveva ancora venire, e il '68 non era in calendario. Scontroso fino a sembrare timido, per certi aspetti proprio all'antica. Faceva il prete: Sacramenti e catechesi, teologia e risveglio delle coscienze, preghiera vissuta e insegnata, e forti stimoli sociali.
Lo dicevano “rosso”, e allora la cosa era molto scomoda: lasciava dire. Parlava della politica, ma come «servizio» vero, insegnando a distinguere bene chi stava con la gente per servirla e chi faceva finta per servirsene, perciò diffidava anche dei carrieristi, bianchi o rossi senza distinzioni, anche falsi difensori dei poveri e dei proletari…
Con i superiori era un libro aperto, ma scomodo. Voleva stare con i giovani e con la gente. Dopo il Concilio Vaticano II cominciò a pensare di partire come «prete romano» offerto al Brasile, dove la dittatura militare era al suo massimo e un numero sterminato di poveri aveva bisogno di pane e di libertà. Annunciava Cristo e insegnava dignità e diritti. Dal 1967 ha trovato laggiù il suo popolo definitivo, certi «ultimi» da noi neppure immaginabili.
Una volta mi raccontò sorridendo che spesso mangiava e beveva per la strada, anche in mezzo alle baracche: si metteva seduto per terra e prendeva cibi e bevande che la gente offriva agli «spiriti» delle varie macumbe, ma a lui diceva: «Tu puoi, perché sei parrìno» cioè prete. Lo hanno «mangiato» loro, i suoi poveri delle favelas, e lui è morto tra loro laggiù, a Nuova Iguaçu, il 21 agosto 1990.
Il suo vescovo che gli voleva bene - era facile, nel caso - ha scritto che al suo funerale c'era una folla di ultimi che lo piangevano, ma erano grati a Dio ed a lui…Prete critico acuto e insieme fedele, ma senza illusioni. In una sua lettera del 1970, pubblicata in un prezioso libro pubblicato postumo dai suoi ex ragazzi di Roma, “Lettere dal Brasile” (Ed. Dehoniane), aveva scritto: «Solo Dio sa il valore del lavoro che tentiamo di fare. Solo Dio, perché non si vede niente…Altri semina, e altri raccoglie. Io vorrei conoscerne uno che raccoglie…Comunque ci penseranno gli angioli nell'ultimo giorno…Grande mistero la Chiesa. Il fatto è che la si deve amare concreta, non idealizzata. Fatto questo, si regge». Uomo vero e prete vero, utile conoscerlo per capire di più il vero segreto di 2000 anni di Chiesa, spiegabili solo con il fascino vero di chi sul serio imita «l'originale». Don Nino Miraldi lo ha fatto…