Don, la «beffa» dei contributi
Per operazioni di questo tipo, la previdenza ha previsto, sin dal 1962, la possibilità di costituire una rendita vitalizia. In pratica, il lavoratore (oppure, in sua vece, lo stesso datore di lavoro) versa all'Inps un importo pari al capitale oggi necessario per aggiungere alla futura pensione la quota che corrisponde ai contributi mancanti.
Sul sistema della rendita vitalizia, da sempre riservata solo ai lavoratori dipendenti, la Corte costituzionale ha operato nel corso degli anni alcune integrazioni. Innanzitutto la Consulta ha preso atto che la vecchia legge del '62 non limitava espressamente il beneficio ai lavoratori dipendenti. E quindi ha iniziato ad estendere la legge anche ad alcune figure del lavoro autonomo, come i familiari di un artigiano o di un commerciante occupati nell'azienda, ed i componenti delle famiglie dei coltivatori diretti.
In sostanza, la Corte ha ritenuto che il diritto alla rendita vitalizia nasce in tutti i casi in cui gli interessati "non hanno una posizione attiva nell'assolvere il proprio obbligo contributivo". Solo oggi l'Inps prende atto di questo criterio e lo applica al mondo delle collaborazioni. I collaboratori, infatti, non sono direttamente obbligati a versare i propri contributi, essendo questo compito assegnato al committente o all'associante. Lo stesso avviene anche per i lavoratori autonomi occasionali.
Contributi clero. Anche i sacerdoti, da diversi anni, chiedono di poter utilizzare il sistema della rendita vitalizia per coprire i vuoti contributivi della propria posizione assicurativa. Inutilmente. L'Inps ha sempre negato questa possibilità, sostenendo che i ministri di culto non sono lavoratori dipendenti né possono essere assimilate a figure del lavoro autonomo. Ed in effetti i sacerdoti e i ministri di altre confessioni non rientrano in alcuna categoria del mondo del lavoro.
Il problema, in realtà, è solo dell'Inps. L'Istituto, a causa di una antica e nefasta gestione del Fondo Clero, non ha registrato i versamenti di contributi, risalenti anche agli anni '70, invece regolarmente effettuati da molti sacerdoti. E' scattata però la prescrizione sui periodi mancanti, che impedisce di poter sanare, ora per allora, i buchi contributivi, neppure se gli interessati fossero disposti a ripetere oggi i versamenti dell'epoca.
In aderenza al nuovo criterio ora applicato ai collaboratori, anche i ministri di culto avrebbero diritto ad utilizzare la rendita vitalizia, non essendo obbligati in maniera diretta all'obbligo contributivo. Fino al 1984 vigeva, infatti, il sistema della congrua ed i contributi sacerdotali transitavano attraverso le Direzioni provinciali del tesoro. A partire dal 1985 a questo provvede l'Istituto centrale per il sostentamento del clero.