Cognome Curioni, per tutti, anche per gli assassini più terribili, i ladri più furbi, persino i brigatisti rossi in carcere, don Cesare, amato da tutti. Quando a metà anni '70 nelle carceri italiane ci furono le prime sommosse di protesta dei carcerati, lui era a San Vittore da quasi 30 anni, e tra i corridoi sfasciati e gli armadi bruciati la cappella rimase intatta. Perché? Lo chiedevi ai detenuti e arrivava la risposta secca: «Lì c'è don Cesare, guai a chi lo tocca!» Era in mezzo a loro, lui, come prete e come uomo, sigaro in bocca, testa calva fino da giovane, solido come un vecchio nostromo di mille tempeste. Era nato nel 1923 ad Asso, tra le montagne ai confini della Svizzera. Una vita tutta spesa a servizio degli ultimi degli ultimi, i carcerati. A metà anni '40 prete diocesano a Milano e dal 1 febbraio 1948 cappellano a San Vittore, tra quelli messi da parte per essere dimenticati. Sempre lì, con la fiducia piena del cardinale Schuster, poi di monsignor Giovanni Battista Montini e di Pasquale Macchi, suo fidatissimo segretario…Sempre lì, in continuo contatto con detenuti e agenti, sereno, pacato, prudente e coraggioso insieme, sigaro spesso tra le labbra, filosoficamente saggio ed evangelicamente genuino. Di giorno e di notte, sempre con loro, sempre a pensare come migliorare le loro condizioni, amato e apprezzato, anche temuto da qualche potente e prepotente che voleva comandare, anche nelle celle, a scapito di altri…Il 17 dicembre 1966 il Comune di Milano lo fa medaglia d'oro proprio per l'azione e gli studi sulla condizione carceraria. Intanto Montini è diventato Paolo VI, accompagnato da lui in carcere come prima visita alla diocesi e nel 1976 lo vuole responsabile per l'assistenza religiosa in tutti i carceri d'Italia, è Ispettore generale presso il Ministero di Grazia e Giustizia. Eccolo a Roma, col titolo di monsignore, sul quale sorride masticando il suo sigaro, sempre al servizio dei problemi di tutti. A inizio anni '80 ottiene per i cappellani una nuova legge quadro vigente fino ad oggi. L'esperienza e la capacità concreta gli ottiene stima anche oltre i confini, e Giovanni Paolo II approva la sua nomina a presidente della Commissione internazionale dei cappellani carcerari, ricordando in un celebre discorso del 1990 che essi sono nelle carceri per offrire «con il conforto dell'amicizia, la speranza cristiana che scaturisce dall'abbandono all'amore infinito di Dio» accogliendo i detenuti al loro ingresso ed accompagnandoli poi, facendosi carico - testuale - «anche del loro effettivo reinserimento nella società». Un ideale quasi utopistico, una missione profetica in cui misericordia, verità e giustizia debbono camminare insieme. Queste cose lui le prende sul serio, come sempre. E così sempre in avanti, nonostante ritardi e problemi. Ordinarietà, ma con qualche straordinario. Durante la vicenda Moro, Paolo VI lo incarica di cercare una strada per la liberazione, e lui le tenta tutte. A Torino, durante il processo ai Br prigionieri, incontra Curcio e Franceschini, e a lui dicono che non c'entrano niente, anche se nell'aula gridano il contrario. Contatta organi internazionali per informazioni, organizza una raccolta in denaro, tanto, in vista di un eventuale riscatto e in una notte drammatica partecipa via telefono con il Papa alla stesura della famosa lettera agli “Uomini delle Brigate Rosse”. Il 9 maggio era attesa una telefonata di speranza, che arriva al contrario. Tutto inutile, e lui torna al suo lavoro girando le carceri di mezzo mondo…Silenzioso e riservato con tutti, fuorché con i carcerati e i confratelli cappellani. Il 22 marzo 1994 a Saxa Rubra, in Rai, celebra i funerali della povera Ilaria Alpi, giornalista del Tg3 uccisa in Somalia: amico di famiglia, aveva sposato i genitori e battezzato la piccola Ilaria. Un'altra sofferenza: fino al 12 gennaio 1996. È da qualche giorno in vacanza nella casa natale ad Asso, sulle montagne tra Italia e Svizzera, e il suo cuore si ferma, senza disturbare nessuno. Ai funerali, tre giorni dopo, sale fino lì l'amico di sempre, monsignor Macchi, l'ombra fedele del suo Paolo VI. Insomma: un uomo, un prete, un amico di tanti, a cominciare dagli ultimi…