Don Gino Belleri: per decenni questo nome diceva soltanto libri, e quindi indicava la sua libreria la “Leoniana” presso San Pietro. Libraio dei Papi l’hanno detto, e con ragione. Ne ha serviti tanti, da Pio XII in poi, fino a Francesco. Navarro Valls, portavoce di Giovanni Paolo II, chiamava la libreria di don Gino “Sala stampa parallela”, dove lui era come rifugiato in alto, in cima ad una scala stretta, al suo piccolo tavolo per ascoltare tutti, senza discriminazioni: laici o credenti, preti e suore, vescovi e cardinali. Contatti personali con Giovanni XXIII, poi con tutti i suoi successori fino a Francesco, che lo salutò sempre, e una volta, forse l’ultima, fu insieme bonario e severo.
È morto a 93 anni il 16 maggio 2022, e quasi fino all’ultimo ha continuato da lassù, quel bugigattolo pieno di libri il suo servizio senza discriminazioni. Hanno scritto di lui che era “una icona” che ora non c’è più. Talora da quel suo nido riservato a pochi lassù, ebbe modo di anticipare documenti di grande rilievo tra cui alcune encicliche.
Parlava sempre meno di quanto ascoltasse, e questo gli consentiva spesso una primizia di notizie e valutazioni che nell’ambiente rivestivano sempre una evidente importanza. Qualcuno lo ha detto il “Vaticano portavoce”, ma non è mai stato portavoce di se stesso. Trasformava con la sua valutazione le supposizioni altrui in notizie utili a tutti. Ha vissuto da vicino tutto il Concilio, e ne ha sempre difeso la necessità e provvidenza, anche quando preti e laici incontrati da lui mi dicevano tutto il male possibile. Mai dalla sua bocca, o dalla sua penna, sarebbe uscita una parola come questa: “lo scatafascio del Concilio”. Parola di Piercarlo Landucci, maestro di spiritualità non solo preconciliare ma seccamente antico conciliare: per decenni in gran voga anche nei Seminari. Ancora don Gino: “amava i libri”, era prete in servizio perpetuo, amico di tanti, qualcuno anche scomodo, ma lui lo vedeva da amico, non da rivale.
Nel 1963 appena morto papa Giovanni XXIII sulla porta della sua libreria appese il ritratto di Giovanni Battista Montini. Una previsione forse facile, ma che se contraddetta dai fatti poteva apparire pericolosa e urtante, per la nuova realtà di un pontificato nostalgico.
Giornalisti e cardinali, preti e laici, uomini e donne, teologi e filosofi, cattedratici e giovani studenti in fila davanti alla sua scaletta… Così la sua vita fino alla fine nonostante una gravissima malattia che avesse fatto capire che questa era quasi finita. Conosciuto anche nel mondo laico. Spesso da lui anche Francesco Cossiga sia prima sia dopo l’elezione a presidente della Repubblica: curioso in tante versioni, laiche ed ecclesiastiche, e spesso ambedue.
Mai un lamento per la sua crescente infermità, è un continuo richiamo alla coscienza della brevità della vita, come ricorda il titolo di uno scritto del grande Seneca che suona così: «Non abbiamo troppo poco tempo, ma tanto ne abbiamo già perduto».
Nel suo andirivieni tra l’istituto di suore dove faceva il cappellano ogni giorno e i dintorni di San Pietro incontrava sempre i poveri, e alcuni di essi gli furono amici fino alla fine. Anche i giornalisti erano sempre attorno a lui, fonte di notizie, di fatti, di interpretazioni sempre libere sempre rispettose della realtà.
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