Se ci si interroga su che cosa sia la Chiesa, le risposte possono essere le più disparate, tutto dipende dalla prospettiva da cui le suddette risposte arrivano. Di sicuro qualcuno per prima cosa farebbe una correzione, e direbbe che bisogna parlare di chiese, al plurale. Poi qualcun altro distinguerebbe tra tradizionalisti e progressisti, o tra destra e sinistra. Dipende, appunto. Soprattutto dipende dalla capacità di comprendere che unità non significa uniformità, né omologazione, un concetto semplicissimo ma che sempre più oggi, oggi che “diverso” è praticamente diventato sinonimo di “nemico”, appare quasi marziano. Eppure, come ha detto Papa Francesco domenica scorsa, nell’omelia della Messa di Pentecoste, Gesù non ha «uniformato» i discepoli facendone «modellini in serie», ma ha «lasciato le loro diversità» e li ha uniti «ungendoli di Spirito Santo». Perché la Chiesa è nata da un popolo con «provenienze e contesti sociali diversi, nomi ebraici e nomi greci, caratteri miti e altri focosi, visioni e sensibilità differenti», e a renderlo un corpo unico è stato lo Spirito Santo.
Ecco dunque la rivoluzione cristiana del «diversi, ma uniti», che cozza con la logica del mondo. Un mondo che «ci vede di destra e di sinistra», mentre «lo Spirito ci vede del Padre e di Gesù»; un mondo che «vede conservatori e progressisti», mentre «lo Spirito ci vede figli di Dio. Lo sguardo mondano vede strutture da rendere più efficienti; lo sguardo spirituale vede fratelli e sorelle mendicanti di misericordia». Perché solo questo siamo, alla fine. Diversi, ma uniti. E sempre in guardia da quelli che Bergoglio ha definito i «nemici» della comunione; innanzitutto il narcisismo ovvero la «tentazione dello specchio», che «fa idolatrare sé stessi, fa compiacere solo dei propri tornaconti», che fa pensare: «La vita è bella se io ci guadagno». E poi il vittimismo, il lamentarsi ogni giorno del prossimo: «Nessuno mi capisce, nessuno mi aiuta, nessuno mi vuol bene, ce l’hanno tutti con me!». E infine il pessimismo, «la litania quotidiana... non va bene nulla, la società, la politica, la Chiesa... ».
Narcisismo, vittimismo, pessimismo. Nemici sempre in agguato, «accovacciati alla porta del cuore». Nemici da cui guardarsi, così come dalla tentazione di «difendere a spada tratta le proprie idee, credendole buone per tutti, e andando d’accordo solo con chi la pensa come noi». «Questa è una fede a nostra immagine, non è quello che vuole lo Spirito... Allora si potrebbe pensare che a unirci siano le stesse cose che crediamo e gli stessi comportamenti che pratichiamo». Invece «lo Spirito viene a noi, con tutte le nostre diversità e miserie, per dirci che abbiamo un solo Signore, Gesù, e un solo Padre, e che per questo siamo fratelli e sorelle».
È questo, allora, il punto da cui ripartire. Dalla Pentecoste, che ci indica «la prima opera della Chiesa: l’annuncio». Ripartire con lo stesso stile degli Apostoli, che «non preparano una strategia, non hanno un piano pastorale. Avrebbero potuto suddividere – ha affermato il Papa – la gente in gruppi secondo i vari popoli, parlare prima ai vicini e poi ai lontani... Avrebbero anche potuto aspettare un po’ ad annunciare e intanto approfondire gli insegnamenti di Gesù, per evitare rischi...». Ma non è questo che vuole lo Spirito Santo, «non vuole che il ricordo del Maestro sia coltivato in gruppi chiusi, in cenacoli dove si prende gusto a “fare il nido”. Nel mondo, senza un assetto compatto e una strategia calcolata si va a rotoli. Nella Chiesa, invece, lo Spirito garantisce l’unità a chi annuncia. E gli Apostoli vanno: impreparati, si mettono in gioco, escono. Un solo desiderio li anima: donare quello che hanno ricevuto». Diversi, ma uniti. Sempre e comunque figli di Dio.