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Roberto Mussapi martedì 29 luglio 2014
«Può un mortale fare domande che Dio trova senza risposte? Facilissimo, direi. Ogni domanda senza senso non ha risposta». Nel 1961 C. S. Lewis, scrittore e medievista di fama mondiale, pubblicò sotto pseudonimo un libretto, Diario di un dolore, che racconta le sue reazioni alla morte della moglie. Si trattava di un matrimonio felice, pieno d'amore. Lewis, che si dichiarò sempre scrittore cristiano, affronta il tema dell'addio, della solitudine, del dolore. Si interroga sulla sua possibilità di sopportare l'assenza della donna. Si sostiene, cercando persino di attingere, come può, al suo noto umorismo. Ma a un certo punto giunge al punto cruciale, per un credente: quel Dio, sempre presente nella sua vita, quando non era necessario, sempre evidente nella felicità o anche solo nella normalità, ora gli pare assente. Lo scrittore non si ribella, non rinnega la sua fede. Ma si domanda perché Dio non gli risponda. Un'intuizione, un lampo: Dio non può rispondere a una domanda stupida. E quella che Lewis gli sta ponendo, lui, intellettuale, in un mondo che dalla sua origine conosce la morte, è una domanda stupida. Gli pare di vederlo, Dio, scuotere il capo non in segno di rifiuto, ma per accantonare la domanda: "Zitto bimbo, tu non capisci" il mistero. La fede vince, nel momento più drammatico, soccorsa dalla ragione.