DITA DI LUCE
trovarono. Rabi'a, allora, si mise in bocca la punta delle dita, poi le trasse fuori. E fino all'alba continuò a irraggiare da esse una luce, come la luce di una lampada. Hasan (642-728) era un asceta musulmano arabo, vissuto a lungo a Bassora, nell'attuale Irak. Là viveva anche un'altra mistica, Rabi'a, il cui messaggio è raccolto, in una versione italiana, nel libro I detti di Rabi'a (Adelphi 1979) a cui abbiamo attinto questo delizioso aneddoto. Colui che è in comunione con Dio che è luce si rivela non solo "illuminato" ma sorgente di luce: come non pensare a Mosè che scende dal Sinai col viso circonfuso di uno splendore accecante (Esodo 34, 29-35)? Il simbolismo è, perciò, trasparente e Gesù stesso l'aveva formulato quando aveva esortato i suoi discepoli ad essere «luce del mondo, lucerna posta sul lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa» (Matteo 5, 14-15). Per raggiungere questo fulgore spirituale è necessaria una radicale purezza interiore, un deciso distacco dalle cose, dall'egoismo e dal possesso che ci rendono opachi e pesanti. Diventa, allora, significativa un'altra parabola che mette in scena gli stessi protagonisti: «Rabi'a un giorno mandò a Hasan tre cose: un po' di cera, un ago e un capello e ordinò al messo di dirgli: O Hasan, ardi come la cera e illumina gli uomini; diventa spoglio come quest'ago e poi agisci. Per fare queste due cose, devi diventare sottile e lieve come un capello, se non vuoi che il tuo sforzo sia vano».