Caro Avvenire, si parla poco del valore dell’obiezione di coscienza, che è la sede delle scelte sui valori della vita e delle convinzioni religiose e morali. Sia che si tratti di medici obiettori cui si dice di garantire il diritto all’aborto, sia che si tratti di militari, come in Russia e Ucraina, dove non esiste più l’obiezione. La battaglia per l’obiezione di coscienza è fondamentale, perché in una società di diritti, quale diritto prevarrà? Basterà vedere se in Francia sarà ancora prevista per i medici dopo l’introduzione del diritto di aborto nella Costituzione. Faccio un appello perché non si violi mai il diritto all’obiezione di coscienza.
Vittorino Bocchi
Caro Bocchi, il suo auspicio è condiviso da “Avvenire”, che da sempre difende la libertà di coscienza come uno dei diritti fondamentali delle persone e uno dei pilastri di una comunità umana rispettosa della profonda e innata dignità di ciascuno. E se c’è libertà, deve esservi spazio per l’obiezione di coscienza. In generale, così accade. E dovrebbe accadere (speriamo anche in Francia). Ma la sua lettera sottende dei dubbi e la risposta, quindi, non può essere semplice e ingenua come avverrebbe in un mondo ideale. La dinamica dei diritti, infatti, è complicata e ci mette di fronte alla necessità di accordare pretese legittime diverse.
Lasciamo da parte l’aborto, rispetto al quale abbiamo illustrato molte volte l’infondatezza degli allarmi di chi teme che in Italia non sia garantita l’applicazione della legge 194. Anche in materia dell’uso delle armi si è ampiamente discusso. Prendiamo, invece, il possibile rifiuto degli scienziati all’utilizzo di animali per la ricerca scientifica.
Sappiamo che molti dei progressi della medicina sono legati all’impiego di topi ma anche di mammiferi superiori – sicuramente in grado di avere sensazioni e percepire dolore. Già oggi le regole sono (giustamente) molto più stringenti. Ma se il rifiuto totale diventasse prevalente (non ancora è il caso, ma facciamo un esperimento mentale), risulterebbe assai difficile trovare nuove cure per patologie che affliggono e uccidono tra grandi sofferenze tanti bambini e tanti adulti. Ovvio che non sarebbe possibile rimpiazzare in breve tempo gli esperti nei laboratori.
Dovremmo allora rifiutare l’obiezione di coscienza a chi sa bene che creature viventi sono sacrificate per un beneficio che non è mai certo nel singolo esperimento, mentre è sicuro il danno inflitto alla “cavia”? D’altra parte, non verrebbe leso il diritto dei pazienti a esperire tutti i tentativi per trovare un trattamento efficace per salvare loro la vita?
C’è chi sostiene con argomenti non banali che chi sceglie una professione specifica, in questo caso il biologo o il patologo, non possa sottrarsi ai ragionevoli doveri connessi alla sua posizione, che conosce prima di scegliere d’occuparla. Anche questa, però, rischia di non essere una risposta del tutto soddisfacente.
Per evitare dolorosi atti d’imperio, dobbiamo forse scommettere sul pluralismo delle nostre società, dove la varietà delle coscienze, per così dire, può permettere a tutti di seguire la propria senza limitare i diritti di nessuno.
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