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Coronavirus. I nuovi mostri

Alberto Caprotti giovedì 23 aprile 2020

Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…

Giorno 43

“Oggi alle cinque ho una “call” con le mie amiche…”. Mi ha detto proprio così, e non volevo crederci. Perché non era mia figlia diciottenne a parlare, ma mia madre che di anni ne ha 77. E in quel momento ho capito che tutto sta cambiando, anzi è già cambiato. E che questa pandemia insieme a immagini brutte e parole ancora peggiori, sta seminando capacità interattive che immaginavo fantascientifiche, facendo crescere consapevolezze inedite. E forse anche nuovi mostri.

Lo dico con ammirazione e rispetto, sia chiaro. Perché da inabile tecnologico e diffidente cronico nei confronti degli strumenti che non siano la clava e la ruota, sperimento ogni giorno la mia ignoranza in materia. Insieme alla certezza purtroppo che la tecnologia si ribella a chi non sa usarla. Soprattutto adesso, con il coprifuoco che obbliga invece ad avere un rapporto fraterno con la modernità della comunicazione online, mentre per me PC sta per Problema Continuo.

Gli arresti domiciliari, lo ammetto, almeno questo hanno fatto progredire: la consapevolezza che senza la tecnologia saremmo molto più distrutti e soli di quanto siamo ora. Non riesco a pensare a come sarebbero questi giorni senza un computer che ti permette di informarti, di fare acquisti senza uscire di casa. O senza uno smartphone, e una connessione veloce. E quanto sia importante questa cosa che si chiama Internet, che prima ho snobbato perché non la capivo, poi ho combattuto considerandola un pericoloso vettore di superficialità, notizie false e narcisimo. E che ora invece ho rivalutato perché tiene aperte le scuole, le aziende e il commercio, e fa molta compagnia anche a chi non ha nessuno vicino.

Da consumatore compulsivo dello spegni e riaccendi come unica forma di risoluzione di tutti i problemi, ho sempre pensato che la tecnologia dovrebbe migliorare la vita senza però diventare la vita. Mi ha sempre spaventato l’idea che attraverso la rete le informazioni arrivino frammentate e drogate, e che le emozioni precedano i fatti. Ma mi devo ricredere almeno sulla convinzione che Internet ci renda stupidi: oggi ci rende soprattutto vivi, e questo alla fine conta più di tutto. Anche del difetto più grande che i computer continuano ad avere, cioè la capacità di dare risposte praticamente su qualunque cosa, ma di non saper formulare le domande. Perché tutti, ma soprattutto mia mamma, chiamino “call” quella che è una semplice telefonata ad esempio, questo non saprà spiegarmelo nemmeno la più progredita intelligenza artificiale.