Coronavirus. Il bene senza classifica
Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…
Giorno 24
C’è di tutto. Quelli che escono di casa come se nulla fosse, e quelli che per fortuna danno 15mila multe in 48 ore a quelli che escono di casa come se nulla fosse. Ci sono imprenditori illuminati che all’emergenza regalano somme enormi. E gli sciacalli dell’emergenza che truffano i più deboli, offrono farmaci miracolosi, falsi tamponi porta a porta, mascherine gratis per farsi aprire. Era bello illudersi che il mondo mettesse in pausa la crudeltà e diventasse perbene almeno in un tempo in cui tutto è male. Invece ci sono persone che riescono a essere sempre più spietate di qualunque malattia: forse quando sono nate, non le ha portate una cicogna ma un avvoltoio.
Il meglio e il peggio: c’è un menù sconfinato di sensazioni contrastanti sotto la cenere del contagio. Ti commuovi per certe storie, ammiri chi sa dare senza chiedere. E ti chiedi se è più bella la ragazza che porta un sorriso e la spesa a casa di un anziano che vive solo, oppure l’azienda di uno degli uomini più ricchi d’Italia che dona 10 milioni di euro, mentre i suoi dirigenti meglio pagati si riducono lo stipendio e integrano quello degli operai. Perché la generosità degli umili infonde tenerezza, quella dei molto ricchi spesso invece suscita sufficienza e sospetto. Ed è un peccato e insieme un errore pensarlo: dare non in base a quello che si ha, ma in base a quello che si prova, è sempre un sacrificio che non ammette classifica.
Loro, i molto danarosi che stanno donando, alla fine non diventeranno meno ricchi, ma più soddisfatti di sé: in molti casi, credo, è proprio quello il tesoro che gli manca. Gli altri, tutti noi, chi più e chi meno, quando la bufera sarà passata, invece saremo più poveri. Anzi lo siamo già, o siamo in lista d’attesa per esserlo. Ma siamo uomini, animali bravissimi nell’adattarsi al mondo: probabilmente impareremo un nuovo modo di stare e di pensare. Come, non è facile prevederlo. Ma mi hanno regalato un indizio, un articolo scritto da Goffredo Parise nel 1974 che indica la povertà come rimedio. “Povertà non è miseria – sostiene – ma è un’ideologia da raggiungere: povertà è saper distinguere, imparare a conoscere le cose per necessità, godere del necessario”. Non una pena ma traguardo dell’anima insomma. Ci sto riflettendo sopra, intanto mi prenoto per raggiungerlo.