Coronavirus, mascherine e penne lisce
Parole in libertà, in giorni senza libertà: chiusi per virus, non possiamo fare. Ma possiamo continuare a pensare…
Giorno 2
L’Italia ancora una volta è divisa in due. Chi ha la mascherina si indigna incontrando chi non ce l’ha. Chi non ce l’ha si avvolge la faccia dentro la sciarpa o sotto il bavero, pensando che sia meglio di niente. Ma pensare non basta: nessuno sa di preciso cosa sia veramente utile e cosa no. Siamo ignoranti, con la paura di essere ignorati se ci dovesse capitare quella cosa lì.
Così indosso la maschera e mi fiondo ancora al Super, la zona franca, l’unico posto dove puoi ancora scambiare due battute senza che l’interlocutore si scosti di almeno un metro. Anche perché il merluzzo surgelato di solito non può farlo. Non mi sento Zorro, vorrei solo un pacco di penne lisce, così, tanto per andare controcorrente, ma una signora che staziona incerta davanti al ripiano mi obbliga a cambiare idea. Troppo vicina. Mangerò riso, come i cinesi. Che poi hai visto, piano piano adesso stanno guarendo: vada per il Carnaroli allora, male non farà.
Alla cassa si aspetta distanziati, in silenzio. Parlano da una fila all’altra solo quelli che la sanno lunga, cioè quasi tutti. “Quando arriva il caldo, finirà di sicuro: perché il virus si scioglie”. E come no. Che scarseggino i medici è una notizia falsa: in giro è pieno di luminari e professori. Sbucano da ogni parte. Dall’alto dei loro studi, tutti ti spiegano il perché e pure il percome. Che questo non serve e che non bisogna farsi prendere dal panico: sono più ansiogeni loro del virus.
Mi scrive un amico su WhatsApp: “Sto bene, a casa non mi annoio affatto, io e mio figlio giochiamo a carte, vediamo i cartoni e ridiamo tutto il giorno, io lo aiuto a fare i compiti e lui mi fa le facce brutte quando lavoro al computer…”. Bello vero? Certo. Peccato che il mio amico non ha figli. Effetti collaterali della pandemia: presto dovremo considerare anche questi.