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DemocraziaQuel cattivo vezzo di contrapporre partecipazione ad efficienza

Renato Balduzzi giovedì 18 maggio 2017
Costituisce un'acquisizione consolidata, benché non ancora diffusa a sufficienza in tutti i settori della vita pubblica, che il principio costituzionale di partecipazione dei cittadini all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (art. 3, comma 2 Cost.) non vada inteso in opposizione al principio di buon andamento dell'amministrazione (art. 97 Cost.), ma piuttosto in sinergia con esso, non potendosi dare né vera efficienza senza un coinvolgimento degli amministrati né
autentica partecipazione senza la presenza di standard minimi di efficienza.
Il nesso tra i due principi, del resto, era ben presente ai costituenti, se è vero che il medesimo art. 97 tiene insieme buon andamento e imparzialità dell'amministrazione, e che l'imparzialità implica che gli amministrati, portatori di diversi interessi, possano "prendere parte" al procedimento amministrativo, così da consentire alla pubblica amministrazione di essere davvero parte imparziale.
Nel 1975 un importante costituzionalista, Alessandro Pizzorusso, scrisse un saggio dal titolo anticipatore ed eloquente, "Democrazia partecipativa e attività giurisdizionale", nel quale sosteneva l'opportunità e, in taluni casi, la doverosità dell'estensione del principio di partecipazione anche alla funzione giurisdizionale, pur nella piena consapevolezza delle limitazioni imposte a tutela dei magistrati dal principio costituzionale di indipendenza. Il saggio è stato oggetto, la scorsa settimana, di un interessante seminario ad Alessandria, nell'ambito della nona Settimana di studi sulle autonomie locali. Oltre ai profili di partecipazione popolare (giurie e azioni popolari) e ai temi, attualissimi e urgenti, della magistratura onoraria e dei periti e consulenti del giudice, è stata sottolineata la centralità dei problemi dell'informazione giudiziaria: la conoscenza dei fatti giudiziari è il presupposto di ogni forma di partecipazione, pertanto le limitazioni a conoscerli e a discuterli sono giustificabili sulla base di altri principi costituzionali e sempre che dal confronto tra le due esigenze non emerga, cito dal saggio, "la possibilità di contemperarle in modi tali da consentire di salvaguardarle entrambe". Le vicende di queste settimane confermano l'utilità di impostare esattamente e con fermezza i termini della questione. Il giorno in cui finalmente il funzionamento della giustizia farà notizia non per le "fughe" di intercettazioni, processualmente rilevanti o non, o per veri o presunti "scontri" tra procure o per le tensioni tra i palazzi della politica e quelli della magistratura, ma per la capacità dell'opinione pubblica di esercitare un "equilibrato controllo democratico sull'attività giudiziaria nel suo complesso" (per dirla sempre con Pizzorusso), allora sarà avverata la "profezia" del costituzionalista pisano.