Molti anni fa, nel 1957, appena dopo la rivolta ungherese, un irrequieto e acuto Italo Calvino scrisse un articolo in forma di racconto marinaro, La bonaccia del Mar delle Antille, per mettere in discussione l'inerzia dei comunisti italiani di fronte all'imperialismo sovietico e a una rivoluzione di popolo, e anche di fronte all'aggressività democristiana. Le reazioni dei togliattiani e dello stesso leader furono sarcastiche, sprezzanti. Ho ripensato a quel testo constatando in questi giorni la bonaccia nel mondo delle associazioni, del terzo settore, dell'intervento sociale e pedagogico, e insomma di quelle minoranze che hanno scelto ieri un "ben fare" di base, di aggiunta o di rimedio alla politica. Che fanno oggi di fronte all'aggressività di chi guida le sorti del Paese con un cinismo privo di ogni rispetto per chi sta in basso e chi soffre? Per una giustificata diffidenza nata da cattive esperienze nei rapporti con la politica e con i partiti o per la scelta di una rivendicata differenza, si è smesso di "fare politica", di confrontarsi con la politica. Oggi i partiti non ci sono più e la politica la fanno (cito Longanesi, un vecchio reazionario intelligente) dei «buoni a nulla capaci di tutto», nell'era del populismo e dell'incanaglimento di una gran parte del popolo. Di fronte alle sparate ministeriali dalle tragiche conseguenze, di fronte al dolore degli emarginati vecchi e nuovi, residenti o immigrati, che ne consegue, di fronte all'abbandono delle proprie responsabilità da parte dello stato costituzionale, di fronte alla dichiarata volontà di ammutolire coloro che si schierano ancora dalla parte del prossimo in difficoltà, alla ripulsa e fin l'odio che certe misure dimostrano per chi sta male, per i poveri, per i segnati dalla sorte considerati colpevoli del loro star male come accadeva in secoli lontani: come reagiscono le minoranze eticamente ispirate, che hanno sostituito per decenni uno Stato che ha rinunciato ai suoi doveri e ha privatizzato tutto o quasi? Con la vecchia morale dello struzzo e semmai con la lotta tra associazioni per la propria sopravvivenza. Non con la ricerca di una strada comune, rendendo assai facile per l'attuale classe dirigente neutralizzarle o farle sparire, una a una. Quando si dovrebbe tornare ad avere una visione, dal basso e dalle pratiche, di una lotta che non può non essere anche politica, fatta di convegni e manifestazioni e coordinamenti e obiettivi comuni, di lotta. La bonaccia nello smorto mare delle buone pratiche che non cercano i modi giusti per reagire insieme, è più che preoccupante, è contraria agli stessi motivi per cui le iniziative erano nate, è perfino immorale.