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Sisto I. Dare un corpo alla fede per viverla nella storia

Matteo Liut mercoledì 3 aprile 2024
C’è un’anima della fede, il contenuto dell’annuncio del Risorto, e poi c’è un “corpo” della fede, che sono i segni esteriori, che esprimono ciò che in cui si crede, i gesti del celebrare e del vivere il Vangelo ogni giorno. Le due dimensioni vivono una nell’altra e una si alimenta dell’altra, come ben la Chiesa sa fin dall’inizio del suo cammino nella storia. Perché dare forma al rito significa in qualche modo dare un volto concreto alla comunità dei credenti davanti al mondo. E san Sisto I, sesto successore di Pietro per circa un decennio tra il 117 e il 128, è ricordato proprio perché a lui è attribuita l’introduzione di alcune importanti norme nella liturgia giunte fino a noi attraverso i secoli. A lui, ad esempio, risalirebbe l’aggiunta nel rito della Messa del «Sanctus», l’inno del «tre volte santo» subito dopo il Prefazio. Originario di Roma, Sisto visse al tempo degli imperatori Traiano e Adriano, in un periodo di relativa tolleranza per i cristiani e venne eletto da tutto il clero. Sempre a lui la tradizione fa risalire la decisione di permettere solo ai ministri di culto di toccare i vasi sacri (calice e patena, il piattino di metallo nobile usato per la deposizione dell’Ostia consacrata) durante la celebrazione dell’Eucaristia. Alla morte venne sepolto in Vaticano vicino a san Pietro. Altri santi. San Riccardo di Chichester, vescovo (1197-1253); san Luigi Scrosoppi, sacerdote (1804-1884). Letture. Romano. At 3,1-10; Sal 104; Lc 24,13-35. Ambrosiano. At 5,12-21a; Sal 33 (34); Rm 6,3-11; Lc 24,13-35. Bizantino. At 2,22-37; Gv 1,35-51. t.me/santoavvenire © riproduzione riservata