«In pochi qui, alle vostre spiagge arrivammo a nuoto. / Che razza di uomini è mai questa? /Quale patria permette un uso così barbaro? / Ci negano l'asilo della sabbia, ci fanno guerra, / ci vietano di soggiornare sulla riva». Queste dolenti parole, che nella loro rovente attualità potremmo attribuire a uno dei tanti naufraghi africani appena approdati nelle nostre coste, sono in verità le parole con cui Virgilio nell'Eneide (1, 539 - 541) presenta Ilionéo, il portavoce dei naufraghi troiani appena sbattuti sulle rive di Cartagine. La storia di chi, sopravvissuto al mare o alle traversie della vita, chiede asilo (asylum) - luogo sacro che rende "inviolabile" colui che vi si sia rifugiato - viene dalla lontana classicità, la quale ci impartisce esemplari lezioni di accoglienza. Didone così risponde al supplice troiano e ai suoi compagni: «Sgombrate dal cuore ogni sospetto e affanno / … La città che io fondo è vostra» (vv. 562 sgg.); Teseo così conforta il vecchio Edipo in cerca d'asilo: «Io sono cresciuto da straniero, / come adesso sei tu. E non lo dimentico. […] Perciò non potrei mai mandare via / chi è come te, chi è uno straniero: mai. Devo dargli il mio aiuto. / Io so di essere un uomo. Io so che il mio domani non è mio, / come il tuo non è tuo» (Sofocle, Edipo a Colono vv. 565 -568).