Il Dandy di Massimi-liano Mocchia di Coggiola, edito da Alcatraz (pagine 194, euro 20), non è un manuale di bon ton e neppure un prontuario di eleganza maschile, perché dandy si è o non si è, non si potrà mai diventarlo, tanto meno aggrappandosi ai manuali. Come ha detto Elémire Zolla, un figlio di parvenu dirozzato da una severa istitutrice saprà che il pesce si taglia con l'apposito coltello, ma si accanirà sulla morbida carne del pesce come se avesse in mano un coltello per tagliare l'arrosto. Che cos'è, allora, il libro di Massimiliano eccetera? Una piacevole narrazione del dandismo e dei suoi esponenti, senza pretese di esaustività e senza toni asseverativi. Un po' di etimologia. Il termine dandy, giunto al vasto pubblico nei primi decenni dell'Ottocento, è di origine inglese (qualcuno dice che il termine sia un vezzeggiativo del nome proprio Andrew), ma è stato tematizzato soprattutto in Francia. Se Lord Brummel era certamente un dandy, è stato Baudelaire a ragionarci sopra e a farne stile di vita, anche se dandy conserva un retrogusto ironico, per cui dare del dandy a qualcuno non si sa se sia un complimento o una presa in giro. Il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia (21 volumi e 22.700 pagine) definisce il dandismo come «Affettazione di eleganza raffinata, alla moda; atteggiamento, comportamento di distaccato e superiore dilettantismo intellettuale, con un fondo di nichilismo». Perfetto il riferimento al nichilismo, meno felice l'allusione alla moda: l'eleganza del dandy non segue la moda, la crea. E qui emerge la differenza fra il dandy e il gentleman: il dandy è comunque vistoso (la gardenia all'occhiello, di Oscar Wilde), mentre l'eleganza del gentleman si sforza di passare inosservata, anche se la piega dei pantaloni e certi polsini di camicia è inevitabile che vengano notati. E se il dandy è modernamente ostentato, il gentleman appare sempre un po' rétro. C'è anche una versione volgare del dandy, ed è il gagà che si pavoneggiava negli anni Trenta o giù di lì: «Attenzione a non confondere il dandy e il gagà. Poiché il secondo non è che il cugino di campagna del primo, malgrado tutte le sue buone intenzioni, come il caro Gustav von Ashembach nel viscontiano Morte a Venezia che, malato d'amore, prende a vestirsi di un completo bianco e cravatta rosso fuoco, compra un immenso fiore per l'occhiello e si tinge i capelli d'ebano: malgrado tutti i suoi sforzi non si conquisterà che lo status di zimbello dei mocciosi di Venezia. Insomma, un autentico gagà!». Nel libro di Massimiliano eccetera, ci sono inevitabilmente citazioni e consigli: «Essere dandy, significa amare le cose belle, ma il massimo del dandismo è poterne fare a meno» (Gabriel Matzneff); «Il bruto si copre, l'arricchito e lo sciocco si addobbano, solo l'uomo elegante si veste» (Honoré de Balzac); «Il dandismo non è neppure, come sembrano credere molti sconsiderati, un gusto sfrenato nel vestire e dell'eleganza materiale. Per il dandy perfetto tali cose sono unicamente un simbolo della superiorità aristocratica del suo spirito» (Charles Baudelaire). Un ultimo consiglio: «Vestiti bene per leggere: nessuno può comprendere decentemente Baudelaire leggendolo in jeans e maglietta».