Il premio letterario Pozzale-Luigi Russo del comune di Empoli ha pubblicato in opuscolo un discorso tenuto da Carlo Ginzburg nel dicembre 2005: Cesare Garboli e il suo antagonista segreto. Ginzburg ricorda l'amico cercando di fare luce in quelle zone della sua vicenda intellettuale che ne hanno determinato la tortuosa e inafferrabile originalità. Nell'analisi di Ginzburg l'antagonista segreto di Garboli è Gianfranco Contini. Senza l'ammirazione e l'antipatia per Contini forse Garboli non avrebbe capito così bene se stesso. Fra i due, da entrambi amato e studiato, c'era Roberto Longhi: che per Contini era uno dei maggiori prosatori del Novecento, per Garboli un modello e un maestro. Longhi traduceva e recitava in parole delle opere pittoriche, di qui la felicità scientifico-narrativa dei suoi saggi. Ma Garboli? Che tipo di traduzione e recitazione poteva essere la sua, se il critico letterario usa le parole per tradurre altre parole? Garboli disse una volta che leggere non era la sua passione. Se perciò doveva leggere e interpretare (da critico-attore) delle opere letterarie, quelle opere non potevano restare solo pagina scritta: dovevano "prendere corpo", il corpo della vita e della forma fisica dei loro autori, perché il laboratorio da cui nasce un'opera non è fatto solo di scartafacci e varianti testuali, come per Contini.
La scoperta del proprio modo di leggere letteratura Garboli la doveva al teatro. Ma se il critico agisce come un attore, il testo letterario è sentito come un testo teatrale. Amleto e Il misantropo sono lì sempre in attesa di nuovi attori e nuove messe in scena.
Anche le opere letterarie sarebbero semivive (o semimorte) senza qualcuno che le "esegua" in un'altra scrittura. Il pathos teatrale dell'attività critica di Garboli è qui: per lui il passato, anche se scritto, ha un'esistenza solo potenziale se il presente non lo "presentifica".