Quello di Hans Magnus Enzensberger è davvero un caso unico nella letteratura contemporanea. La sua presenza di intellettuale è stata sempre così tempestiva e documentata nel descrivere fenomeni sociali, culturali e politici che a volte qualche giornalista, per distrazione, dimentica che è un poeta e lo definisce filosofo. Benché tedesco, Enzensberger è però quanto di più lontano dai «gerghi della profondità» caratteristici della filosofia tedesca. Appartiene alla generazione neoilluminista che non aveva ancora vent'anni nel 1945 e che si domandò quanti e quali fossero i precedenti culturali che avevano reso la Germania incapace di resistere alla tentazione nazista. Ogni volta che Enzensberger decide di affrontare una realtà problematica, non si immerge solo nelle idee, non si perde in deduzioni teoriche: parte dai fatti, accumula dati e documenti, lavora come uno storico del presente o come un giornalista che scava sotto la superficie delle notizie.Questa volta il tema è l'Europa: ancora una volta, dopo i magnifici reportage, raccolti nel volume
Ah, Europa! (1987). Allora il fascino del libro era nel variopinto catalogo delle diversità europee (Svezia e Spagna, Ungheria e Portogallo, Italia e Polonia…). Oggi, con
Il mostro buono di Bruxelles, ovvero l'Europa sotto tutela (Einaudi) siamo invece all'incubo della monotonia. L'unione europea si applica con le sue innumerevoli istituzioni, ramificate in una serie raccapricciante di acronimi indecifrabili, a omologare e standardizzare. I cittadini europei vivono questo come l'azione di una trascendentale macchina operativa, le cui decisioni, norme e procedure si sottraggono alla trasparenza e al controllo democratico, eppure penetrano in ogni ambito della nostra vita.Come aveva già notato nel 1975 Hannah Arendt, la nuova tirannia che strangola e tutela la nostra vita sociale è «una superpotenza del tutto spersonalizzata», manovrata da temibili brave persone che hanno smesso di giudicare quello che fanno.