Domenica delle Palme - Anno B
Quando furono vicini a Gerusalemme, Gesù mandò due dei suoi discepoli e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. E se qualcuno vi dirà: “Perché fate questo?”, rispondete: “Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito”». Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. E gridavano: «Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!».
Cosa pensa Gesù nel vedere questa folla osannante, cosa prova nel suo cuore, sapendo quel che lo attende una volta giunto a Gerusalemme? Come guarda quei volti che ora lo chiamano “Benedetto!” e cosa legge in quegli occhi? Sa che saranno gli stessi che di qui a qualche a giorno con odio grideranno “Crocifiggilo”?
Una folla di sbandati, di gente come noi, pronta a vendersi per qualche sicurezza in più, a sventolare palme e ramoscelli di olivo come fossero portafortuna, a garanzia di una vita assicurata contro le disgrazie.
E mi chiedo ancora quanto pesa nel cuore di Gesù la domanda se valga la pena di morire per questa gente.
Ma forse Lui non se la pone affatto questa domanda: quando si ama si è disposti anche a perdere e ad attraversare il buio. Il buio delle incomprensioni e dei tradimenti, il buio dei fallimenti.
Un amore appassionato, un amore esagerato quello di Dio, un amore che ti strappa l’anima e ti fa dire «ti amo da morire». Nonostante tutto.
«Non ci si abitua mai ad un Dio umile» ha detto papa Francesco, il nostro è un Dio che si fa prestare un asinello e che non sgroppa su un nobile destriero, è un Dio che accetta insulti, sputi e morte e che perdona.
Si è disposti a perdere tutto quando si ama e nel buio si aprono squarci di luce: quel che resta di un profumo versato sui capelli nella casa di Simone il lebbroso, la dichiarazione di fede del centurione quando vede il velo del tempio squarciarsi, la preghiera di un ladrone che gli sta affianco sulla croce, quegli occhi gonfi di lacrime delle donne che non lo hanno abbandonato.
Anche nel buio dei tradimenti si aprono fessure di luce, a consolare, a fare da scudo al dolore. Perché, lo sappiamo bene, solo la tenerezza sa toccare il corpo dei crocifissi.
Il velo del tempio squarciato, quel velo che solo il sommo sacerdote poteva oltrepassare una volta all’anno, sta a dimostrarci che ora possiamo finalmente vedere il volto di Dio ed è un volto tumefatto di botte, ma in cui brillano occhi innamorati. La logica paradossale di Dio ancora una volta ribalta la nostra logica:
«…ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,25).
In questa Settimana Santa cerchiamo di allargare il nostro respiro, le nostre braccia, i nostri occhi: che sia una dilatazione di vita, perché la vita, quella vera, è molto più di una sconfitta,
più di un tradimento,
più di una morte.
«Le nostre braccia allargate sono l’inizio del cerchio, un amore più grande lo compie già» (Margherita Guidacci).
(Letture: Isaia 50,4-7; Salmo 21; Filippesi 2,6-11; Marco 14,1-15,47)
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