La «fede dei laici», cioè una sorta di teismo e, insieme, di panteismo, «può aiutarci a chiudere la minaccia del nichilismo e ridare senso alla vita». Questa sembra la conclusione cui Eugenio Scalfari (La Repubblica, domenica 2) è arrivato dopo due mesi di dibattiti su laicità e religione. Non polemizzo, aggiungo soltanto qualche riflessione mancante. Scalfari attribuisce al «nichilismo» la «crisi della modernità: [...] la décadence, la disarticolazione dei valori sono stati d'animo che hanno pervaso i nostri spazi mentali e modificato profondamente i nostri comportamenti» fino ad aver «capovolto i rapporti tra l'uomo e la tecnologia, trasformando quest'ultima in un fine e gli uomini in altrettanti strumenti al suo servizio». Verissimo. Egli vede, però, nella crisi della disinteressata «fede nella trascendenza» e nel conseguente «ritiro di Dio dal mondo», di cui ha parlato (ma era solo un paradosso biblico!) Giovanni Paolo II, la causa della nascita della «filosofia dell'apparenza» - che «postula la cancellazione (la morte) dell'assoluto» e «di Dio» - e del «relativismo». Questo, però, «non è nichilismo, ma il suo contrario», perché «comporta un impegno continuo e responsabile sulle verità morali di volta in volta valide nell'epoca e nel luogo. Verità assolute nel luogo e nell'epoca, ma variabili secondo i mutamenti d'epoca e di luogo». La mia sintesi è eccessiva, ma resta evidente che questo è il punto debole dell'argomentazione, pur seria e rispettosa, di Scalfari: introducendo il relativismo, giustificato come figlio primogenito della ragione illuministica, la "laicità" ha imboccato lo scivolo del laicismo che conduce al nichilismo come esito inevitabile dell'"assoluto relativo". La «fede laica», che nega la verità e Dio, postula - anche con le migliori intenzioni - il niente o la divinizzazione della scienza o, meglio, della sua figlia (degenerata): la tecnologia, di cui sopra.
«TRASH» E CULTURA
A proposito di décadence. Il trash (i rifiuti) è un genere televisivo che tira. Adesso c'è qualche intellettuale che tenta di dargli dignità letteraria. Giordano Bruno Guerri (ricordate la collezione dei suoi errori, dal suo pamphlet su Santa Maria Goretti a quelli che seguirono?), che adesso dirige un piccolo quotidiano, L'Indipendente, ha messo sotto la testata, come aforisma riassuntivo della sua Weltanschauung, un'oscenità tratta da una poesia (?) di un certo John Giorno (mercoledì 5). «Ho già sdoganato il turpiloquio in televisione», ha detto con vanto a Libero (giovedì 6), che gli chiedeva una spiegazione. Due giorni dopo, sul Venerdì di Repubblica, Corrado Augias, che fa il critico letterario, ha recensito - con esempi espliciti, spiegazioni ed ètimo - la seconda edizione di un volume della Utet che raccoglie «metafore, eufemismi, oscenità, doppi sensi, parole dotte e parole basse in otto secoli di letteratura italiana». Ha dimenticato di mettere quella letteratura tra virgolette qualificative, ma ha tenuto a dire che «gli autori (e io [lui] con loro) si augurano la riscoperta di una tradizione sopravvissuta all'Inquisizione, all'Indice, ai petrarchismi, al moralismo religioso e ideologico». C'è una cultura che piace quando si ferma alla terza lettera.
IMMA
A volte anche i nomi propri, quando chi li porta li adatta alla propria personalità, sembrano rivelatori. C'è n'è, per esempio, uno femminile bellissimo - Immacolata -, che ricorda immediatamente la Vergine Maria. L'ho trovato più volte ridotto a «Imma»: per esempio, una volta in una firma su un giornale comunista; un altra volta nel nome d