Quella che non dovrebbe essere una notizia è stata, al contrario, la notizia della settimana per il mondo del calcio. Forse, al netto dei processi per bilanci creativi o plusvalenze, la notizia dell’anno. Jakub Jankto, calciatore attualmente in forza allo Sparta Praga, squadra della sua città natale, ma con una lunga frequentazione del campionato italiano (Ascoli, Udinese, Sampdoria), nonché punto di forza del centrocampo della nazionale della Repubblica Ceca, ha pubblicato un video sui social che, in pochi secondi, ha squarciato il velo di decenni di ipocrisia del mondo del calcio: «Ho le mie forze, le mie debolezze, la mia famiglia, i miei amici. Ho un lavoro che faccio nel modo migliore di cui sono capace, con serietà, professionalità e passione. Voglio vivere, come chiunque altro, la mia vita in libertà, senza paura, senza pregiudizi, senza violenza, con amore. Sono omosessuale e non voglio più nascondermi», ha scritto.
Nella storia del calcio professionistico maschile sono pochi i precedenti e in, ogni caso, nessun calciatore di alto livello in attività aveva mai parlato della propria omosessualità in pubblico (l’espressione inglese ormai globalizzata è coming out). Per decenni il mondo del calcio ha incoraggiato, magari inconsapevolmente, comportamenti talvolta apertamente omofobi e razzisti. Almeno in parte, purtroppo, si continua a farlo anche oggi. Il garbato – nei toni e nei modi – messaggio di Jankto a cui una parte di tifosi ha reagito con la (ahimè) consueta violenza, fa tornare alla memoria le parole di papa Francesco, intervistato qualche settimana fa dalla Associated Press: «A chi vuole criminalizzare l’omosessualità vorrei dire che si sbaglia», parole pronunciate mentre nel mondo esistono oltre cinquanta Paesi che contemplano condanne legali per le persone omosessuali, e alcuni di questi Paesi hanno addirittura la pena di morte. «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?», aveva detto il Santo Padre dieci anni fa, nel luglio 2013, rispondendo ad alcuni giornalisti sull’aeroplano che lo riportava dalla Gmg in Brasile a Roma. Già, “chi siamo noi” per giudicare un calciatore che a 27 anni ha deciso di non voler più farsi carico, restando in silenzio, di sofferenze e discriminazioni?
Jakub Jankto è una persona con una spiccata vena artistica, è un pittore di talento. Qualche tempo fa, nascosto dal cappuccio di una tuta della Sampdoria, era stato ripreso mentre dipingeva uno splendido quadro in omaggio a Kobe Bryant, svelando la propria identità alla fine del video, con un bel sorriso. Anche in questa occasione Jankto ci ha messo la faccia, in un modo – lo sottolineiamo di nuovo – estremamente garbato. La cosa positiva è che il suo messaggio, oltre agli insulti dei soliti odiatori da tastiera, ha incassato il supporto di tutti, davvero tutti, i più importanti club europei e dell’Uefa stessa. Ecco spiegato perché quella di Jankto è una notizia. Basta entrare in qualsiasi stadio o campo di gioco, dal calcetto con gli amici alla Serie A, per scoprire quanto ci sia bisogno di gesti di coraggio, non di ostentazioni volgari e di pregiudizi, tanto dei protagonisti quanto dei club che sono importanti nel fare opinione. E quando non saremo più costretti a chiamarli “gesti di coraggio” sarà un giorno importante davvero.
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