Dal barocco romano riemerge «Santa Beatrice» di Camilla de Rossi
L'ennesima ombra nella storia della musica barocca, i cui contorni reali ci vengono però restituiti dalla testimonianza delle opere che sopravvivono all'oblio, e in particolare i quattro oratori che gli vennero commissionati direttamente dall'imperatore Giuseppe I d'Austria e che furono rappresentati nella Cappella Imperiale. Il primo " e più rilevante " è quello intitolato Santa Beatrice d'Este, scritto nel 1707 sul libretto del cardinale Benedetto Pamphilj (già autore del testo del celebre Il Trionfo del tempo e del disinganno di Händel) dedicato alla nobile monaca vissuta nell'antico monastero benedettino di Gemmola sui Colli Euganei e morta in età giovanissima il 10 maggio 1226.
La recente incisione discografica realizzata dall'ensemble strumentale Musica Fiorita, diretto al clavicembalo da Daniela Dolci, porta in primo piano tutte le luci e le ombre di una partitura figlia del proprio tempo e dei suoi artifici retorici (cd pubblicato da Orf e distribuito da Codaex). Scandito da un'incalzante sequela di recitativi, arie e duetti caratterizzati da un'insidiosa scrittura delle parti vocali (qui non sempre sostenuta con convinzione dal quartetto di cantanti solisti), l'oratorio è percorso da un costante crescendo di tensione drammaturgica, sapientemente costruita brano dopo brano assecondando le vicende della protagonista. E si vola altissimi sulle ali della meravigliosa aria finale (Ogn'affetto fora impuro), un piccolo capolavoro di musica e parole, intenzione ed espressività, in cui la Santa, dopo essersi opposta alle insidie del prepotente Ezzelino da Romano, testimonia la fermezza della propria fede e l'abbandono incondizionato all'amore del Signore.