Dai campi aIla tavola: il viaggio è salato
Chi ci guadagna lungo il cammino che porta i prodotti alimentari dai campi alle tavole? La domanda è cruciale, soprattutto oggi in tempi grami per l'economia come quelli che stiamo attraversando, e non ha una riposta univoca. Ma su questo interrogativo è bene comunque ragionare. Tenendo conto che tutto può cambiare a seconda del prodotto considerato, dell'area geografica, della situazione contingente.
A cercare di capire dove finiscono i soldi che i consumatori spendono in alimenti, ci ha provato anche una ricerca di The European House-Ambrosetti presentata nell'ambito di un incontro al quale hanno preso parte Federdistribuzione, ANCC Coop, ANCD Conad e ADM-Associazione Distribuzione Moderna. Il succo dei risultati è che ogni 100 euro di consumi alimentari degli italiani, il 32,8% remunera i fornitori di logistica, packaging e utenze, il 31,6% il personale della filiera, il 19,9% le casse dello Stato, l'8,3% i fornitori di macchinari e immobili, l'1,2% le banche, l'1,1% le importazioni nette e solo il 5,1% gli operatori di tutta la filiera agroalimentare estesa. È su questa porzione che occorre poi concentrarsi per capire meglio. Dei poco più che cinque euro che finiscono agli "operatori", pare che il 43,1% circa finisca all'industria di trasformazione, il
19,6%
alla cosiddetta intermediazione (grossisti e intermediari in ambito di agricoltura, industria e commercio); il
17,7% agli agricoltori, l'11,8% alla distribuzione finale e il 7,8% alla ristorazione.
Certo, i numeri vanno circostanziati e interpretati ogni volta: l'ampia fetta di operatori che sta fra l'agricoltura, la trasformazione e il consumo finale (e cioè la logistica, il packaging, la distribuzione, le banche, i fornitori di macchinari), da sola acquisisce una porzione notevole e prevalente dei circa dei cento euro di valore dei consumi finali.
È evidente tuttavia l'indicazione concreta che arriva dall'indagine di European House- Ambrosetti: la filiera agroalimentare (e cioè uno dei comparti più importanti e delicati sia per il mercato interno che per quello estero), appare ancora oggi essere assolutamente squilibrata. Ma non si tratta di fare guerre di campanile, piuttosto occorre ragionare su come distribuire meglio il valore, magari attraverso accordi più saggi e meno egoistici. In fin dei conti, lo spirito cooperativo ha trovato proprio nell'agricoltura una delle sua patrie d'elezione. Occorre quanto oggi si indica come "fare squadra" ma che, appunto, nei campi è cosa nota da tempo.