L’umanità di oggi è più minacciata dalla natura o da sé stessa? Se si parla da tempo di “antropocene”, cioè di un’era in cui il genere umano esercita sul pianeta un’influenza determinante, questo significa che la responsabilità di quanto avviene nella vita terrestre e nei suoi ambienti è in prevalenza da attribuire a noi, ai nostri poteri scientifici, produttivi, tecnici e politici. Mai come oggi l’umanità ha avuto nelle sue mani il proprio destino e il governo dell’ambiente naturale in cui vive. Anche la pandemia attuale può essere interpretata guardando alle responsabilità umane in misura molto maggiore che in passato. In proposito non si hanno ancora le idee abbastanza chiare, ma certo va considerato l’abuso che la nostra produzione e il nostro consumo di beni esercita sulla natura. Clima, sfruttamento delle risorse e povertà estrema sono diventati i più comuni problemi mondiali. Inoltre una produzione che sembra inarrestabile di nuove tecnologie sta modificando la vita sociale, la cultura, la mente e la psiche umane. Non ci si può chiedere che cos’è umanità senza confrontare saperi e tradizioni dell’umanesimo antico e moderno e lo stato attuale del mondo. Nei confronti dello strapotere economico–politico del capitalismo nelle sue varie forme e del suo “autismo”, della sua mancanza di lungimiranza e di scrupoli, accade ora che le valutazioni e le riflessioni più umanistiche vengano da due zone della cultura che in passato sono state o sembrate antagoniste: la religione e la scienza. Dalle religioni viene l’idea dell’automiglioramento, della “conversione” o mutamento radicale del proprio modo di pensare e di essere. Dalle scienze viene l’esigenza di un’analisi obiettiva e approfondita della vita e delle sue condizioni materiali e sociali. Eppure, oggi, economia e politica appaiono sempre più sorde ai messaggi delle scienze e delle religioni. I ceti politici, la prassi politica, le organizzazioni politiche ubbidiscono alle cosiddette leggi del potere economico immediato e non vedono altro. In termini banalizzati, lo slogan del “guardare sempre avanti”, che potrebbe sembrare edificante, appare spesso ridicolmente coatto, perché esclude sia il guardarsi intorno e di lato, sia il guardarsi indietro, al patrimonio del passato e alla storia. Ho letto perciò in questi giorni il saggio di Kàroly Kerényi, solo una ventina di pagine, La concezione greca dell’uomo, nel volume Miti e misteri (Bollati Boringhieri). Kerényi (1897–1973) è stato uno dei maggiori studiosi del pensiero mitologico e filosofico antico, di cui discusse con Thomas Mann e Hermann Hesse. Nell’idea greca e poi umanistica di essere umano hanno dominato il motto “Conosci te stesso” e la paideia, l’educazione rivolta a capire e realizzare l’autenticità del nostro essere umani. Siamo limitati, sofferenti e mortali, eppure abbiamo uno spirito pensante e consapevole che trascende la nostra condizione nel partecipare alla “causa comune” nella solidarietà con cui si condivide la nostra ambivalente sorte.