Da Scarlatti a Pergolesi, così Napoli nel '700 intonava il «Salve Regina»
Differenti per sensibilità, ispirazione, impronta stilistica ed estetica, le cinque pagine per voce solista qui raccolte e affidate al mezzosoprano Mary-Ellen Nesi (non sempre impeccabile lungo tutto l'arco di questo impegnativo tour de force) offrono uno spaccato dell'estrema varietà che all'epoca contraddistingueva l'approccio compositivo nei confronti del repertorio sacro, attingendo forma e sostanza tra i virtuosismi canori di stampo operistico e i fervidi accenti di una devozione popolare così tipicamente mediterranea.
Ad aprire questa antologia è la coppia di lavori di Leonardo Leo (1694-1744), segnata dal maestoso e solenne incedere della versione in fa minore, che concede al belcanto più di quanto non faccia quella in do minore, maggiormente carica di tensione emotiva e caratterizzata dalla predominanza di tempi lenti e dilatati; scritta da Alessandro Scarlatti (1660-1725), l'opera di questo disco che presenta la datazione più tarda " qui proposta in prima registrazione assoluta " si impone invece per la ricchezza armonica e per la drammatizzazione quasi teatrale dei contrasti espressivi.
Delle due bellissime pagine firmate da Giovanni Battista Pergolesi (1710-1736), il Salve Regina in do minore si lascia ammirare soprattutto per le sorprendenti affinità evidenziate con il sublime Stabat Mater, a cui il compositore di Jesi deve in modo particolare l'immortalità della sua fama: per i medesimi palpiti commossi e la stessa radice di sentimenti religiosi che, con dolcezza e passione, rivestono di inflessioni trascendentali l'umanissima invocazione rivolta dal fedele in attesa dell'intervento amorevole della «Madre di misericordia».