Da Epitteto a Weil e Brodskij, a lezione di libertà
E di che cosa parla Paolo Nori? Parla di sé, di quello che gli succede, in un flusso forse inconsapevole del flusso della Neoavanguardia, cioè del Gruppo '63, così che mentre Paolo Nori, nel 1963, veniva al mondo la Neoavanguardia apriva le cateratte del flusso narrativo per dire che non si poteva più dire niente perché la lingua era morta, uccisa dal capitalismo, e io nel 1963 già leggevo tutto questo e ci credevo, e in parte ci credo ancora, perché della Neoavanguardia ho letto tutto, e nella mia biblioteca c'è uno scaffale con un metro e 75 di libri della Neoavanguardia, tutti letti. Invece Paolo Nori qualcosa da dire ce l'ha e lo dice con l'aria di non dirlo, ma lo dice benissimo, anche attraverso le citazioni. Per esempio: «C'è un saggio bellissimo di uno studioso russo che si chiama Bachtin, il saggio si intitola La parola nel romanzo ed è pubblicato da Einaudi in un volume intitolato Estetica e romanzo, dove Bachtin dice che noi, le cose che diciamo, il cinquanta per cento non sono cose che diciamo, sono cose che ripetiamo». E allora? È il discorso della difficoltà di essere sé stessi, cioè di essere liberi. E si può essere liberi nei regimi totalitari che uccidono gli innocenti, e anche nei regimi democratici che mandano alla sedia elettrica gli innocenti. Paolo Nori cita Epitteto: «Chi può impedirti di aderire al vero? Nessuno. Chi può costringerti ad accettare il falso? Nessuno». E cita anche Simone Weil che nel 1943 scriveva: «Quasi ovunque, e spesso anche per questioni squisitamente tecniche, il fatto di prendere partito, di prendere posizione pro o contro, ha sostituito il fatto di pensare. È una peste che si è originata nel contesto politico e si è diffusa in tutto il paese, alla quasi totalità del pensiero». Per concludere, con Iosif Brodskij: «Un uomo libero, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno». Sipario, applausi.