A 29 anni Patrick Fealey aveva il mondo in mano. La sua laurea in giornalismo si era concretizzata in un’assunzione al Boston Globe come corrispondente da Rhode Island e da tre anni scriveva sui turisti che esploravano le coste dello Stato, sui pescatori di cozze e sulle mostre della regione. Aveva già vinto due premi come critico d’arte e ricevuto un’offerta di lavoro dalla Reuters. Pensava di sposarsi.
Un quarto di secolo dopo, Fealey dormiva in una vecchia Toyota Corolla con il suo cane Lily, sopravvivendo con 960 dollari al mese di assegni d'invalidità.
Il crollo era stato rapido e devastante. Lo stress della vita di redazione aveva accelerato il ciclo di episodi depressivi e maniacali dovuti al suo disturbo bipolare, fino a paralizzarlo con un esaurimento nervoso. In un anno aveva perso tutto: il posto, la casa e la fidanzata. Il mix di otto farmaci che assumeva per evitare crisi gli toglieva lucidità e forze, concedendogli solo poche ore di energia al giorno — non abbastanza per mantenere un impiego.
«Allora ho cominciato una vita nomade e solitaria, viaggiando in auto e battendo su una macchina da scrivere del 1939 articoli che cercavo di vendere come freelance – dice –. Per un certo periodo un uomo d'affari incontrato per caso mi ha aiutato con qualche centinaio di dollari». Ma poi la macchina da scrivere si è rotta, l’auto ha smesso di reggere le lunghe distanze e Fealey è tornato a Rhode Island. È riuscito a sfangarla per alcuni anni presso amici e conoscenti e poi ad affittare un paio di appartamenti, il suo ultimo tentativo di salvarsi dalla vita di strada, dove si è trovato nel 2023, a 54 anni, dopo l’ultimo sfratto.
«Ho provato a vivere in un rifugio per senza tetto, ma un residente mi ha minacciato – continua –. E l’ambiente era troppo deprimente. La disperazione era contagiosa». Dopo una dozzina di notti in auto, Fealey ha capito di far parte di una categoria di persone diversa, quella che occupa l’ultimo gradino della società. «Persone che la gente evita o nota solo quando creano disagio o chiedono qualcosa», spiega. Come quando Fealey è andato da un medico per avere un farmaco che alleviasse il dolore lancinante ai denti e si è visto trattare come un tossicodipendente. O come quando ha cercato di ottenere buoni pasto dallo Stato ma è stato indirizzato a presentare prima domanda per un alloggio con liste d'attesa lunghe anni. «O come tutte le volte in cui un poliziotto è venuto a bussare al mio finestrino di notte – dice – perché i vicini si erano lamentati e quindi non potevo restare lì. A volte tentavo di protestare, ma ho capito alla svelta quanto ero vulnerabile. Mi restava solo la libertà e un poliziotto avrebbe potuto facilmente togliermela».
Fealey non ha mai chiesto l’elemosina e in quasi un anno per strada solo una donna gli ha portato un pasto caldo. Ma non ha mai smesso di scrivere e di cercare di pubblicare i suoi articoli. Dopo l’ennesimo no, a corto di soldi, ha deciso di raccontare quello che conosceva meglio: la sua storia di “uomo invisibile” che cerca di mantenere la dignità. «Delle umiliazioni quotidiane e delle esperienze della vita senza casa, non solo le mie ma di tutti i 653mila senzatetto in questo Paese e dei nostri tentativi di rimetterci in piedi nonostante la mancanza di servizi sociali a disposizione di quelli come noi». Ne è uscito un pezzo da 10mila battute che la rivista Esquire ha pubblicato a novembre e che ha salvato Fealey.
L'articolo ha attirato l'attenzione di Marissa Mathews del Connecticut, che lo ha inviato a sua sorella e ai loro genitori. Insieme hanno deciso di «trovare l’autore e aiutarlo».
Da due settimane Fealey vive in un albergo a loro spese. La famiglia ha anche creato una pagina GoFundMe per pagare le riparazioni dell’auto, le cure dentistiche urgenti, il deposito per un appartamento e i primi mesi di affitto. La raccolta ha già superato i 100mila dollari. «I Mathews mi hanno riportato a galla – dice Fealey –. È incredibile e inaspettato, sono molto grato. So quanto sono stato fortunato e penso a tutti quelli che vivono in condizioni peggiori delle mie e che continuano a essere umini e donne invisibili».
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