Cultura in tv, sì ma con giudizio
Più spesso, purtroppo, in trasmissioni anche interessanti si sentono esprimere idee che basta pensarci un momento per scoprirne l'assurdità, la faziosità o il fanatismo. Sabato scorso si discuteva delle distruzioni cieche compiute dal Daesh due anni fa nell'antichissima città di Palmira in Siria, nel cui museo erano custoditi tesori di incalcolabile valore storico, archeologico, antropologico. L'anziano studioso e curatore del museo, Khaled Asaad, non fuggì, si rifiutò di lasciare il suo posto nella generosa fiducia che la sua semplice autorità e fedeltà alla custodia di quel museo avrebbero fermato ogni volontà distruttiva dei miliziani islamisti. Non fu così. Quel luogo fu devastato e lo studioso è stato ucciso.
Dopo aver intervistato eminenti archeologi, il conduttore della trasmissione si è rivolto allo storico del Novecento Giovanni De Luna, che ha sottolineato una netta distinzione fra ciò che è memoria e ciò che è storia. Il culto della memoria sarebbe da evitare perché pericolosamente “identitario”. Più obiettivamente e scientificamente, secondo lo storico, dovremmo invece dedicarci allo studio e alla conservazione dei documenti. Insomma la presenza attuale del passato deve essere cosa per professionisti e non memoria diffusa di un popolo. Abbasso i popoli che conservano memoria, evviva gli accademici che lavorano negli archivi. Certo, una comunità senza storici può rischiare mitologie e fanatismi. Ma non vedo per chi e per che cosa gli studiosi di storia studiano la storia, se la memoria identitaria fa così male al genere umano. Un mondo senza varietà identitarie non è forse come una foresta di alberi tutti uguali?