Critici misantropi, una formula usata con troppa nonchalance
L'elenco è buono, se non perfetto. Ognuno ha il suo. Ma sarei ipocrita se non dicessi qualcosa sul fatto che Giacopini include in coda il mio nome e sul modo in cui lo fa, inconsapevole del rapporto diffuso e obiettivo che lega critica sociale e misantropia. Quest'ultima è una parola che fa paura e se la usi tutti si preoccupano per te, per la tua salute psichica, per la salvezza o dannazione della tua anima. Giacopini scarica sulle mie spalle personali una realtà (e tradizione) grandiosa come la misantropia. Evidentemente non sa che cosa ha nominato. Non ha letto Pascal, Leopardi, Tolstoj? La misantropia è una fondamentale intuizione e rivelazione di legami sociali e di gruppo che peggiorano il comportamento degli individui e che perseguitano chi è solo. Quando Garboli capì che il molieriano Tartuffe, l'impostore, era onnipresente in Italia, ebbe un'intuizione misantropica. La Persuasione e la Rettorica di Michelstaedter, Minima moralia di Adorno, 1984 di Orwell, Lettere luterane di Pasolini non sono opere misantropiche? Beckett, Pinter, Bernhard, Gadda, Kubrick, per non parlare di Kraus, Wittgenstein, Enzensberger (che Giacopini nomina) non hanno rinunciato alla misantropia. Non ci si salva da soli. Ma neppure in gruppo. La salvezza percorre molte vie e il diavolo ha molte forme.