Seguire i voli di alta acrobazia di Lodovico Festa e di Giulio Sapelli nel trovare riscontri fra la situazione italiana d'oggi e l'Europa del Cinquecento è una ginnastica mentale che dà tono alle difese immunitarie contro la banalizzazione mediatica e la correttezza politica. I dialoghi tra il politologo e il professore, entrambi esperti di pensiero laterale, raccolti in Se la Merkel è Carlo V (Guerini e Associati, pp. 176, euro 14,50) sono un esercizio di intelligenza che allena l'intelligenza anche del lettore.La domanda è se le vicende italiane nel periodo 1992-2014 sono analogabili a quanto avvenne tra il 1494 e il 1527, quando tramontò il sogno di fare dell'Italia uno Stato unitario, come intendeva Machiavelli, e divenne inevitabile rinchiudersi nel «particulare» con la rassegnazione di Guicciardini. Diciamo che le simpatie di Festa vanno a Machiavelli, mentre il disincanto di Sapelli è di sapore guicciardiniano: per questo il confronto fra i lucidissimi dialoganti è di qualità suprema e spesso di wit irresistibile.Si comincia con un parallelo tra Ludovico il Moro ed Enrico Cuccia, entrambi falliti nel tentativo di dare a Milano un ruolo nazionale, alleandosi con potenze straniere. Il Moro dapprima si appoggiò a Carlo VIII e finì i suoi giorni prigioniero dei francesi; Cuccia, con patti di sindacato con la banca Lazard e altre contorsioni, vedrà sfaldarsi l'impero finanziario di Mediobanca di cui fu costruttore.Cesare Borgia, il più machiavellico dei prìncipi, e Bettino Craxi sono accomunati da una leadership progettuale che si rivelò fragile per resistenze corporative e perfino per motivi di salute, senza trascurare che Craxi fu contrastato dalle «procure combattenti» che Sapelli paragona alle «compagnie di ventura».E l'ingresso della Cina nel Wto (World Trade Organization) nel 2001, non è forse simile all'ampliamento dei mercati a seguito delle grandi scoperte geografiche del Cinquecento?Il confronto tra i Medici e la Dc esprime «la longevità del potere degli sconfitti»; Berlusconi, come i Dogi veneziani, sfrutta il suo grande potere mercantile, ma sconta l'incapacità della sua politica di farsi Stato; e, come avvenne per il Papato rinascimentale e per il Quirinale post '92, «la sacralità del Vaticano e l'autorevolezza presidenziale [Cossiga e Napolitano come Giulio II] perdono un po' del loro alone quando devono entrare nella mischia».Di capitolo in capitolo si incontrano sempre nuove sorprese e qui non posso darne conto partitamente. Ma, almeno per dar ragione del titolo del libro, riporto che la differenza tra Carlo V e Angela Merkel è che l'imperatore ebbe un progetto autenticamente europeo benché né lui né i suoi successori abbiano saputo portarlo stabilmente in porto, mentre «la grande bottegaia» appare chiusa nell'illusione monetarista e in miopi rigidità di bilancio.Da un libro come questo si ha conferma che la storia non insegna nulla ma è bello e anche divertente studiarla. Tuttavia, sulla fragilità del nostro Stato nazionale c'è una frase di Lodovico Festa che vale un trattato. Eccola per intero: «La politica vive se pone la questione dello Stato, dei suoi poteri, della sua sovranità, o con la rivoluzione o con una Costituzione o con istituzioni capaci di coniugare sovranità popolare e nazionale. Solo così lo Stato riesce a diventare quella che tu [Giulio Sapelli] chiami una "comunità di destino", perché dà unità, visione ed efficacia a sentimenti, princìpi, interessi, tradizioni. Quando non c'è più questo Stato, la politica non può non morire. E al suo posto s'impone l'opinione pubblica, per cui i veri soggetti della discussione collettiva diventano non più i partiti ma i giornali e le trasmissioni tv».