Così l’Italia può aiutare l’Africa a coltivare
Tutto ancora da precisare e rendere operativo. E tutto da comprendere bene nei suoi sviluppi (negli stessi giorni in cui il Piano è stato reso noto, le organizzazioni missionarie e le Ong hanno sottolineato la necessità di coinvolgere davvero chi in Africa lavora da tempo per lo sviluppo). È un fatto, tuttavia, che l’agricoltura e l’agroalimentare costituiscano uno dei pilastri fondamentali. Proprio per questo, tra l’altro, Coldiretti, Bonifiche Ferraresi, Filiera Italia e Cai (Consorzi agrari d’Italia) hanno presentato un progetto che prevede interventi su 40mila ettari con la creazione di posti di lavoro, fornitura di beni e servizi, sviluppo delle agroenergie da fonti rinnovabili, trasmissione di conoscenza e tecnologia per la produzione locale e lo sviluppo di nuove reti di vendita. È in tutto questo che si inserirebbe la riapertura dell’Istituto Agronomico d’Oltremare. Lo IAO è stato soppresso e incluso nell’Agenzia italiana per la cooperazione e lo sviluppo, ma nella sede fiorentina c’è ancora pressoché tutto o quasi: laboratori, biblioteche, aule di formazione, serre e molto altro ancora. Un patrimonio per il quale poco basterebbe per essere rivitalizzato. «Una nuova vita dello IAO – dice a questo proposito Massimo Vincenzini, presidente dell’Accademia dei Georgofili che, tra l’altro, contribuì oltre cento anni fa alla sua creazione – è non solo auspicabile ma realizzabile con sforzo relativamente contenuto e investimenti limitati. Si riuscirebbe così a ridare all’Istituto la sua originale funzione di luogo di produzione di ricerca e conoscenza, oltre che di formazione, in una veste non più coloniale ma più consona al terzo millennio». A Firenze se ne parla. A Roma si deve decidere. © riproduzione riservata