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Così i Papi ci insegnano che il silenzio non è solo assenza di parole

Salvatore Mazza sabato 24 febbraio 2018
Prendersi una pausa. Staccare la spina. Ricaricare le batterie dello spirito. Certo, gli annuali esercizi spirituali della curia romana, che finiscono oggi, non si riducono a questo, o non sono solo questo. Ma c'è in essi, non da oggi ma sicuramente oggi in maniera più avvertibile, una dimensione fortemente stridente, quasi stonata, con il quotidiano che ciascuno di noi conosce, fatto di rumori di ogni genere, che non danno tregua, di parole che si rincorrono e continuamente si affastellano le une sulle altre in una cacofonia indistinta. È la dimensione del silenzio, ma in un significato particolare; perché, come ha detto papa Francesco lo scorso gennaio, «il silenzio non si riduce all'assenza di parole, bensì nel disporsi ad altre voci: quella del nostro cuore e, soprattutto, la voce dello Spirito Santo».
Silenzio e preghiera, infatti, vanno a braccetto. Il silenzio, anzi, è momento costitutivo – se così si può dire – della preghiera; quasi impossibile da concepire questa senza quello. Cosa che invece, troppo spesso, dimentichiamo. «Oh se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile e indispensabile dello spirito: mentre siamo storditi da tanti frastuoni, rumori e voci clamorose nella esagitata e tumultuosa vita del nostro tempo. Oh! silenzio di Nazaret, insegnaci ad essere fermi nei buoni pensieri, intenti alla vita interiore, pronti a ben sentire le segrete ispirazioni di Dio e le esortazioni dei veri maestri». Fu Paolo VI, nel 1964, a levare questa preghiera da Nazaret, durante il suo pellegrinaggio in Terrasanta. E Benedetto XVI, nel ricordare queste parole di Montini a quasi mezzo secolo di distanza, nel 2011 spiegò che «la contemplazione di Cristo ha in Maria il suo modello insuperabile». Maria infatti vive dello sguardo di Dio, e il primo a farne l'esperienza è Giuseppe, che «ha compiuto pienamente il suo ruolo paterno, sotto ogni aspetto. Sicuramente ha educato Gesù alla preghiera, insieme con Maria».
Per questo dunque, ha detto sempre papa Ratzinger, «il silenzio e la condizione ambientale che meglio favorisce il raccoglimento, l'ascolto di Dio, la meditazione. Già il fatto stesso di gustare il silenzio, di lasciarsi, per così dire, “riempire” dal silenzio, ci predispone alla preghiera». Tornano agli occhi le tante volte che abbiamo visto un Papa assorto nel silenzio, e sono innumerevoli da Wojtyla durante i suoi soggiorni alpini o davanti alla grotta di Lourdes, fino a Francesco ad Auschwitz. E si comprende meglio cosa voglia davvero significare «lasciarsi riempire dal silenzio».
Del resto, ha detto papa Francesco il 20 dicembre 2013, «il mistero del nostro rapporto col Signore (...) è un mistero che non possiamo spiegare. Ma quando non c'è silenzio nella nostra vita del mistero si perde, va via. È necessario custodire il mistero con il silenzio: quella è la nube, quella è la potenza di Dio per noi, quella è la forza dello Spirito Santo». Ci è dunque chiesto di “costruire”, porre in essere, determinare le condizioni per cui tale relazione possa mantenersi e rinsaldarsi: e per questo bisogna dunque «riscoprire il silenzio pacificante e rigenerante della meditazione del Vangelo, che conduce verso una meta ricca di bellezza, di splendore e di gioia». Ed è Maria a indicarci il “come”, quasi a chiudere il cerchio partito dalle parole di Paolo VI del 1964: «Penso – dice papa Francesco – a quante volte ha taciuto, quante volte non ha detto quello che sentiva per custodire il mistero del rapporto con suo Figlio. Maria era silenziosa, ma dentro il suo cuore quante cose diceva al Signore!».