Così Fortini elogiava l'arte del tradurre Ma nella tecnica si nasconde l'ideologia
Ma in queste lezioni (scritte come appunti privati) emerge in tutte le sue implicazioni la centralità che l'idea del tradurre ha avuto nella poetica di Fortini, nella sua personale teoria e prassi della letteratura. Come nota Luca Lenzini nella premessa, una delle poesie di Fortini più note e caratteristiche si intitola “Traducendo Brecht”: qui l'autore fotografa e commenta se stesso nell'atto di tradurre il poeta a cui si è più lungamente dedicato, il poeta che lodò i poteri conoscitivi della dialettica marxista e che si propose di scrivere non per tutti, ma per chi lavorava in vista della rivoluzione e del comunismo.
Queste lezioni possono certo essere usate come vademecum per chiunque sia interessato alla traduzione: senza dimenticare tuttavia che tradurre, come fare il medico o l'attore, è più un'arte pratica, un artigianato, che una teoria o una scienza. Succede spesso che chi teorizza bene sulla traduzione non sia per questo un buon traduttore e che gli ottimi traduttori non siano in grado di formulare compiute e complesse riflessioni su quello che fanno. Anche come traduttore che riflette su se stesso, Fortini è uno scrittore e un critico continuamente alla ricerca delle proprie ragioni morali, politiche e storiche, da opporre ad altre, diverse ragioni. Non c'è pagina di Fortini, di qualunque cosa parli, in cui non si legga in primo piano il suo progetto di «rispecchiare dialetticamente» la situazione storica in cui è vissuto. Perché non c'è tecnica che non implichi un'ideologia.