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Così ad Auschwitz si poté tatuare l’amore

Andrea Fagioli sabato 11 maggio 2024
La nascita di un amore all’interno di un campo di concentramento è sicuramente una delle cose più improbabili. L’idea di raccontarla è quindi originale, così come il rendere protagonista della storia un tatuatore, ma non come quelli di oggi in gran voga per una mania anche discutibile, bensì come quelli che ad Auschwitz - Birkenau imprimevano il numero di matricola nella pelle dei deportati con ago e inchiostro indelebile. Quell’amore, pertanto, per uomini e donne considerati numeri, rappresentava l’ultimo appiglio per restare umani. È questo il senso della serie Il tatuatore di Auschwitz, ispirata all’omonimo romanzo di Heather Morris, da ieri in prima serata su Sky Atlantic e in streaming su Now con due episodi alla settimana per tre settimane. Il tatuatore è Lali Sokolov, un ebreo slovacco che nel 1942 viene deportato ad Auschwitz e che poco dopo l’arrivo diventa uno dei tätowierer, incaricato di marchiare i compagni di prigionia. Un giorno incontra Gita, una ragazza appena arrivata al campo: se ne innamora a prima vista. Inizia così una storia coraggiosa quanto impossibile, sotto la costante sorveglianza di un instabile ufficiale nazista, raccontata a flash-back con l’alternarsi continuo di presente narrativo e passato, ricorrendo all’espediente di un’aspirante scrittrice che incontra Lali ultraottantenne. Nel ripercorrere le tragiche vicende, ma anche la bella storia d’amore, si materializzano accanto al vecchio Lali i fantasmi del passato, con la particolarità anche che alcune scene si ripetono con punti di vista diversi, mentre in altre è la memoria che sembra aggiustarsi. Alcune immagini della brutale violenza nazista sono piuttosto dure, ma il vero dramma dei prigionieri e al tempo stesso la loro umanità in mezzo a tanta disumanità è resa con forza espressiva dai primi e primissimi piani che la regista Tali Shalom-Ezer ci propone a più riprese. © riproduzione riservata