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Corruzione. Un problema di cuore (ma anche di leggi e istituzioni buone)

Renato Balduzzi venerdì 30 giugno 2017
Mi hanno molto colpito alcuni passaggi della prefazione di Francesco al libro-dialogo del cardinale ghanese Peter Turkson "Corrosione" (Rizzoli, 2017; il volume è significativamente dedicato ai collaboratori del dicastero vaticano "per il servizio dello sviluppo umano integrale"): la corruzione, scrive il Papa, «esprime la forma generale della vita disordinata dell'uomo decaduto», essa «nasce da un cuore corrotto ed è la peggiore piaga sociale». E proprio la parola cuore è quella che ritorna più volte nella prefazione, quasi a volere indicare che nessuno di noi può considerarsi immune dal rischio della corrosione-corruzione. Parole forti, alle quali si aggiunge l'analisi del rapporto tra corruzione e mafie, in quanto la prima è «un processo di morte che dà linfa alla cultura di morte delle mafie e delle organizzazioni criminali».
Un'analisi alla quale da tempo il Papa ci richiama e che ha trovato qualche riscontro nell'ormai noto Obiettivo 16 dell'Agenda Onu 2030 per lo sviluppo sostenibile, che individua nella riduzione della corruzione la chiave di quest'ultimo, aggiungendo che lo sviluppo e le istituzioni forti e consolidate di uno Stato di diritto sono strettamente correlati e si rafforzano a vicenda.
In questa prospettiva, va considerata con interesse la recente modifica, contenuta nella delega penale approvata in via definitiva dalla Camera dei deputati a metà giugno, che ha aumentato i termini di prescrizione dei reati di corruzione (la sua applicabilità ai soli reati commessi dopo l'entrata in vigore del provvedimento, che ha fatto discutere, era difficilmente evitabile, stante la natura sostanziale dell'istituto della prescrizione nel nostro ordinamento, con riferimento all'art. 25, comma 2 Cost.): insieme all'aumento delle pene edittali per questa categoria di reati, introdotto con la legge n. 69/2015, tali norme costituiscono un avvio del rovesciamento di tendenza rispetto alla problematica legge n. 251/2005, la quale ci ha esposti a ripetuti e pesanti richiami dell'Ocse e costituiva uno strumento quanto mai inadeguato a contrastare tale piaga sociale.
Molta strada resta da percorrere, affinché il nostro Paese possa scrollarsi di dosso il pessimo posizionamento quanto a corruzione percepita: a cominciare dalla quantità e dalla qualità della legislazione. Uno Stato molto corrotto genera una produzione legislativa alluvionale, ma anche una legislazione stratificata e occasionale (e pertanto di bassa qualità) concorre ad aumentare il tasso di corruzione. Se è vero insomma che il germe della corruzione si annida nel cuore dell'uomo, è anche vero che istituzioni e leggi buone possono aiutare il cuore a "corrodersi" meno.