Milano, giugno. Apro gli occhi al primo sole che si allarga nella mia stanza. Da principio non ricordo che giorno è. Poi tendo l'orecchio: dalla via arriva il brusco alzarsi della saracinesca del tabaccaio, in un tramestio di cerniere rugginose. Passa, veloce, un autobus, e accelera nella strada ancora vuota. Dalla casa attorno echi di sigle di tg, e sveglie che suonano, petulanti e implacabili. Richiudo gli occhi per cinque minuti: che bello, il laborioso ronzio di un lunedì. Le domeniche a Milano, almeno lontano dal centro, sono spesso così lente e silenziose. Molti sono fuori città, molti dormono fino a tardi; per strada incroci piccole famiglie con un solo bambino, che sembrano non sapere dove andare; e pensionati con il cane al guinzaglio. La domenica, Milano sembra orbata del suo primo motore: il lavoro. E io che ci sono nata la preferisco, confesso, all'alba del lunedì: nell'ora in cui, come una donna, in fretta si prepara e corre fuori – sempre credendo d'essere in ritardo.Mi piace il passo svelto dei ragazzi con lo zaino in spalla. Mi piace l'affollarsi degli avventori ai banconi del bar, e quello spingere, i nuovi arrivati, garbatamente i primi – perché si sbrighino, a bere quel caffè. E la folla dei pendolari che scende quasi di corsa i gradini del metrò, formando come un fiume che segue una sua ben nota e definita direzione. Qui sotto invece, in cortile, il familiare struscio della ramazza di saggina della custode; e il suo discorrere in una lingua dell'Est con una badante dello stesso suo paese. ( Mi pare che ucraini, filippini e cinesi si integrino perfettamente nel tempo veloce di questa città; e già abbiano preso il nostro camminare milanese). Nei cantieridel metrò in costruzione a quest'ora cominciano a girare le betoniere, con un rumore di viscere metalliche, di lenta, pesante digestione – le bocche spalancate divorano, voraci, camionate di cemento. Fin da qui si vede la torre di City Life, che si alza ancora – quaranta piani, conto con ammirazione e vertigine. E sopra una gru altissima gira, gira e solleva carichi, in cigolii e clangori che sembrano, di questa città del lunedì, la colonna sonora. I tram diretti al centro ora sono affollati; scorrono sui binari con quell'eco bassa di ferro e di acciaio, che a me sembra il respiro di Milano. Una città che pare smarrirsi la domenica, come un fiume in una lanca troppo quieta. Ma al lunedì alle sette, freme: a ogni semaforo, a ogni incrocio. E quell'ansia di correre, di lavorare, mi sembra di Milano la laica preghiera.