«La storia universale altro non è, in sostanza, che la storia dei grandi uomini e degli eroi». Potrebbe sembrare anacronistica, oggi, questa affermazione di Thomas Carlyle, potente pensatore scozzese dell'Ottocento. Non è così. Gli ultimi quarant'anni del Novecento, hanno visto, più che il ridimensionamento, la derisione della figura dell'eroe. «Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi» è uno slogan che si afferma nel secolo, uno slogan falsamente democratico e in sostanza insulso. Gli eroi sono grandi uomini, non tromboni. Lo stesso secolo che li nega, si regge sulle gesta degli eroi: gli inglesi che resistono a Londra sotto i bombardamenti, i Partigiani, il carabiniere Salvo d'Acquisto, e poi Gandhi, e Martin Luther King, e gli africani che lottarono contro il colonialismo, e poi Walesa, e poi Gorbaciov, e Teresa di Calcutta, e Karol Wojtyla, e il Dalai Lama, e Falcone e Borsellino e don Puglisi e Calipari…Come sopravviveremmo, senza di loro, senza l'esempio? In ognuno di noi sonnecchia un eroe, mescolato con un pigro, un prudente, potenzialmente un vile. Gli eroi destano in ognuno di noi il loro simile, ci svegliano, ci accendono. Non a divenire a nostra volta eroi, —sarebbe un sogno nobile e fanciullesco— ma a vivere coraggiosamente la nostra esperienza quotidiana.