La crisi affiora eppoi esplode sulla labbra degli appassionati, Da tempo andavano dicendo «dove va a finire il calcio di questo passo?»; adesso incalzano: «Si salverà? Chi lo salverà?». Vecchi scandali ancora impuniti (il Calcioscommesse manda i suoi “eroi” in campo...) , le milanesi a rotoli, eppoi Lotito, e il Parma... Già: chi ci salverà? Siccome ne ho già vissute tante, di crisi, e il pallone ruzzola ancora, tiro fuori lo slogan salvifico già detto con tono più o meno convinto: «Ci salveranno i ragazzini», da un'idea di Elsa Morante (che con il calcio nulla aveva a che spartire: i suoi ragazzini salvavano il mondo) abbracciata da Pier Paolo Pasolini che invece poetava calcio e lo giocava pure. Bei tempi. Anche furiosi, non volgari come oggi, imperante il denaro che non salva ma distrugge lo sport più popolare del Paese. E i ragazzini? I vecchi e nuovi “mister” - dal Dottore, al Mago, al Paron, al Filosofo, fino ai giorni nostri - quando ho avuto motivo di criticare certe smargiassate o follìe dei pedatori illustri o meschini, vedi Ronaldo o Balotelli e ricca compagnia, mi hanno sempre detto: «Ricordati che anche da campioni o veterani restano sempre ragazzini che giocano a pallone». Non si sono mai sbagliati, non mi sono mai sbagliato: anche stavolta alle demenziali sortite delle istituzioni porranno rimedio i Ragazzini, anche i più scapestrati (che ho sempre difeso) che correndo, saltando, segnando gol, dandosi alla pazza gioia (cosa pensate del Candreva che si ferisce esultando dopo il gol? Non è forse un ragazzino?) tengono in vita la favola ultrasecolare amata da una società composita di ricchi e poveri, intellettuali e popolani, vecchi e bambini. Fortuna vuole che mentre il morbo infuria e il pan ci manca arrivano le Coppe - la Champions juventina, l'Europa League sempre più Coppitalia - capaci di distrarci dalle pochezze del campionato e dai drammi ridicoli di quella che fu la Confindustria dei Piedi, sesta azienda nazionale per fatturato. Ma passerà la sbornia di gol e ci ritroveremo le riforme deformi, i fallimenti annunciati e sospesi: soprattutto avremo a che fare con gli Invasori, i Conquistadores del pallone italico che sembrano arrivati coi barconi dall'Albania, dall'Africa, dall'Asia, tanto sono sconosciuti, fin misteriosi e talvolta poveri in canna. Ci si deve accorgere finalmente che non c'è più un imprenditore serio voglioso di “salvare” il calcio, magari quello della sua città. A Parma invocano Barilla che giustamente neppure coglie il grido di dolore della sua città traversata da grave malessere; è morto il grande Michele Ferrero tante volte invitato a dar soldi al vecchio Toro, mai caduto nella trappola anche se allo sport ha dato tanto con miliardi di pubblicità; a Bari è scappato Matarrese, a Genova Garrone, a Milano Moratti, resistono Berlusconi, Della Valle e De Laurentiis, il primo per politica, il secondo perché la sua Fiore è gestita con prudenza, il terzo perché ha ricreato una squadra/stadio che vale il Banco di Napoli d'antan. Resiste la Juve che Umberto seppe trasformare da Vecchia Signora sabauda e Fiat in Giovin Signora scaltra e calcolatrice, interessata a bilanci sani cui fece collaborare anche l'azionista Gheddafi. E sono i loro Ragazzini cui chiediamo un altro gol, un'altra vittoria, un altro sorriso. Tutto il resto è business.