Da che cosa e in che cosa nascono le opere letterarie e i loro autori se non da un ambiente e dalla sua cultura? L'ovvia metafora dell'humus che produce certe piante e le loro qualità sembra particolarmente adatta. C'è poi la metafora del fiume: gli autori possono nuotare in un ambiente letterario seguendo e sfruttando la corrente, o invece andare contro corrente per varie ragioni istintive o critiche. Anche in quest'ultimo caso, anche per negazione e contraddizione, l'ambiente è decisivo. Ora è innegabile che ogni ambiente possiede o è posseduto da una certa morale, da un certo modo di essere, da certe ossessioni, convenzioni, mitologie, aspirazioni, fantasie. Ogni volta che noto quanto l'attuale produzione letteraria sia diversa da quella del secolo scorso, trovo che l'ambiente crea, incoraggia, scoraggia, migliora o peggiora gli autori e il loro iniziale, eventuale talento. Mi sembra che in Italia l'ambiente peggiori gli scrittori, più che farli maturare. Invece di formarne il carattere, lo deforma. Per questo la nostra letteratura di oggi è una letteratura di opere prime, a cui seguono repliche o inutili o scadenti e opportunistiche. La critica è assente o reticente o inascoltata e gli editori sono solo a caccia di libri che vendano, scritti per vendere. La morale dell'ambiente letterario è la classifica dei libri più venduti e i risultati si vedono. La valutazione è sostituita dalla pubblicità. Cerco conforto in un piccolo libro del critico Jacques Rivière (1886-1925) pubblicato da Medusa, Lo scrittore e lo specchio (pagine 116, euro 15) e la cosa che mi colpisce di più è l'immagine di un ambiente letterario straordinariamente ricco, serio, appassionato, quello che caratterizzò i primi decenni del Novecento, il punto più alto del modernismo. A un secolo di distanza, quel mondo sembra remoto soprattutto perché è ormai lontano anche quello del mezzo secolo successivo, fino agli anni ottanta. Il libro contiene un saggio di Ramón Fernàndez che ritrae il suo amico Rivière precocemente scomparso, in cui si dice che per essere un moralista bisogna essere anche uno psicologo. In effetti Rivière era l'una e l'altra cosa e per questo diffidava dei pregiudizi morali. Scrisse un saggio su Proust e Freud, due dei più originali moralisti moderni. Nel suo discorso sulla letteratura Rivière sostiene che i personaggi letterari non devono nascere da idee e immagini morali preordinate, ma devono essere colti nel loro nascere come persone viventi. Ogni vita ha una sua dimensione morale ed è in quella che lo scrittore deve entrare per far esistere il suo personaggio e mostrarne direttamente lo specifico istinto morale. Si tratta, dice Rivière, di «entrare nella finzione romanzesca e drammatica come nemici giurati di ogni falsificazione».