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Consulta a “pacchetto” ma contano le persone

Stefano De Martis domenica 1 dicembre 2024
Con la seduta comune di giovedì scorso, era la decima volta che le Camere si riunivano per ripristinare la pienezza del collegio della Corte costituzionale, incompleto nella componente di nomina parlamentare dal novembre 2023, dopo la fine del mandato di Silvana Sciarra. Ennesimo nulla di fatto, purtroppo, anche se stavolta c’era una novità molto rilevante: i giudici da eleggere erano quattro e non uno soltanto, dato che a metà mese concluderanno il loro mandato Augusto Barbera (attuale presidente), Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Andrà a vuoto con tutta probabilità anche la prossima seduta in modo che per eleggere tutti i nuovi giudici sia richiesto il medesimo quorum di tre quinti (nei primi due scrutini, infatti, occorrono i due terzi). Se l’obiettivo della lunga serie di fumate nere sul primo giudice mancante era quello di arrivare a un’elezione “a pacchetto” – all’evidente scopo di facilitare gli accordi tra i partiti – ebbene, quell’obiettivo è stato raggiunto in pieno. E pensare che la legge costituzionale n.1 del 1953, il testo fondamentale per la Consulta (oltre ovviamente alla Carta del 1948), aveva escogitato un sistema estremamente articolato di scadenze parziali e scaglionate proprio per evitare nomine contestuali di più di tre membri. Il meccanismo era sin troppo complicato (un «rompicapo», lo definì il celebre giurista Aldo Sandulli), e venne definitivamente modificato con la legge costituzionale n.2 del 1967, ma sempre con la stessa finalità. A tre giudici eletti insieme si era arrivati già nel 2015, e si tratta appunto dei tre che scadranno a stretto giro. Ora sono da eleggere quattro giudici sui cinque di nomina parlamentare previsti dalla Costituzione, la quasi totalità della componente affidata alle Camere. È una “prima” assoluta, che tenderà a perpetuarsi nel tempo perché i quattro finiranno il loro mandato contemporaneamente e altri quattro dovranno essere eletti al loro posto. Una riforma di fatto che un giorno potrebbe essere formalizzata con una legge costituzionale, inglobando anche il quinto giudice di nomina parlamentare. Forse sarebbe più trasparente e istituzionalmente rispettoso della snervante teoria di convocazioni a vuoto a cui abbiamo assistito nell’ultimo anno, con la Consulta costretta nel frattempo a operare a ranghi ridotti. Ma la materia è opinabile ed estremamente delicata Quando la Costituzione, nell’articolo 135, stabilisce che i giudici della Corte siano nominati per nove anni, «decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento», presuppone chiaramente che la loro elezione sia una «scelta rigorosamente individuale», per usare le parole del Capo dello Stato che alcuni mesi fa abbiamo già citato in questa rubrica. Un discorso – quello del 24 luglio alla stampa parlamentare – che vale riprendere adesso, quando finalmente le forze politiche hanno cominciato a parlarsi e a ragionare intorno a un criterio condiviso. Tenere conto del pluralismo della rappresentanza nelle Camere non è necessariamente sinonimo di spartizione lottizzatoria. È un risultato a cui si può giungere attraverso una convergenza su candidati che, al di là della loro matrice culturale, siano riconosciuti come meritevoli «per cultura giuridica, esperienza, stima e prestigio». Pacchetto o non pacchetto, sarà la qualità delle persone a fare la differenza. © riproduzione riservata