Ormai alla vigilia delle Feste, m'è venuta in mente Elsa Maxwell, la famosa «pettegola di Hollywood», la giornalista americana che fino agli Anni Sessanta del secolo scorso fu protagonista della mondanità internazionale. Elsa (1883-1963) era a suo agio con i duchi di Windsor e con i presidenti degli Stati Uniti, con attori, cantanti e musicisti, Greta Garbo, Marlene Dietrich, Cary Grant, Audrey Hepburn, Rita Hayworth, Cole Porter, Arthur Rubinstein, George Gershwin, e tutto il mondo dorato o in similoro dell'aristocrazia e della finanza in movimento tra Parigi, New York, Londra, Roma, Venezia e Biarritz.Ebbene, questa donna, nata povera, piccola e grassa, che un critico definì «una piccola balena arenata, disperatamente ansiosa di ritornare nell'acqua» (e lei, divertita, condivise), costruì la sua celebrità soprattutto organizzando memorabili, fantasiosissime feste. Feste più da Capodanno che non da Natale, comunque divertenti. Diceva: «Le feste migliori sono quelle offerte da persone che in realtà non se le potrebbero pagare: devono per forza servirsi dell'immaginazione e dell'ingegnosità per sostituire il denaro».Il successo di una festa sta nell'assortire invitati che sappiano tener viva una conversazione ispiratrice o divertente; però, «dato che quella della conversazione è un'arte moribonda, è necessario di solito tenere in riserva qualche idea nuova per risollevare una festa in pericolo di sprofondare. Se esiste una formula, si tratta soltanto di un po' di originalità».L'autobiografia di Elsa Maxwell, Ho sposato il mondo (Elliot, pp. 384, euro 17,50) dimostra che la calibrata frivolezza della giornalista era innervata da una schietta sensibilità morale. Nel suo mondo in cui matrimoni e divorzi mulinavano vorticosamente, lei, che non si era mai sposata, sapeva cogliere il valore del nucleo domestico: «Una volta mi parve il colmo dell'ipocrisia quando vidi un padre interrompere le vacanze che stava trascorrendo con l'amante per tornare a casa a festeggiare il compleanno di un figlio. Ma poi ho imparato a considerarlo un tentativo sincero per mantenersi legato alla famiglia. È stata l'amoralità e non l'immoralità a minare la società europea».Alla domanda se credesse in Dio, rispondeva: «Assolutamente sì. Credo che ci sia qualcosa di divino in ogni essere umano. Il fatto stesso che una mente e uno spirito agiscano insieme è una prova dell'esistenza di Dio». Si mantenne fedele alle quattro regole che le insegnò suo padre, e fu tutta la sua eredità: «Primo: non avere mai paura di quello che dirà la gente. La gente esiste soltanto nella tua paura. Quello che fai è l'unica cosa che conta. Secondo: più possiedi, più sei posseduta. Mantieniti libera dalle cose materiali e godi la vita così come viene. Terzo: prendi leggermente le cose serie, prendi seriamente le cose leggere. Quarto: ridi sempre di te stessa prima che ne ridano gli altri».E c'è un'altra teoria che divenne il motto di Elsa Maxwell, generosissima nelle iniziative benefiche: «Fate del bene se vi divertite facendolo. Se fate il bene soltanto per il bene, e la cosa finisce con l'annoiarvi, diventate anche voi una seccatura per gli altri». Certo, soprattutto a Natale, la sostanza religiosa della festa è l'essenziale. Ma non va trascurata la festosità esteriore, da non soffocare in ansiosi sovraccarichi di cucina e in affannose corvée di regali: certi pranzi di Natale in cui si invitano cugini e cognate che magari non si vedono da qualche tempo, e con i quali forse non si è in rapporti di schiettissima simpatia, devono comunque risultare divertenti. E non va dimenticato il consiglio di Elsa Maxwell: il successo di una festa è assicurato se i primi a divertirsi sono i padroni di casa.